o studio “Chicks produce consonant, sometimes jazzy, sounds”, pubblicato su Biology Letters da Gianmarco Maldarelli, Andrea Dissegna e Cinzia Chiandetti del Dipartimento di scienze della vita dell’università di Trieste e da Andrea Ravignani del Dipartimento di neuroscienze umane della Sapienza Università di Roma, ha scoperto che «La preferenza delle specie animali, umane e non umane, per i suoni consonanti sarebbe in parte determinata fisiologicamente».
L’ipotesi all’origine dello studio, è che gli elementi costitutivi delle capacità musicali – di umani e animali – abbiano una radice biologica, condivisa tra specie anche filogeneticamente distanti, e non dipendano già solo dalla cultura e dall’esperienza musicale.
Ravignani, che lavora anche per il Comparative Bioacoustics Group del Max Planck Institute for Psycholinguistics e per il Center for Music in the Brain dell’un iversità di Aarhus, ricorda che «Ricerche precedenti dell’Università degli Studi di Trieste già avevano condotto alla scoperta della preferenza dei pulcini, come di altre specie, per i cosiddetti intervalli musicali consonanti. Questi ultimi, infatti, sono quelli che più assomigliano al suono prodotto dagli esseri viventi, mentre quelli dissonanti richiamano la minor armonia dei suoni ambientali. Allora non se ne conoscevano le ragioni; oggi, invece, sappiamo – grazie a studi condotti insieme, Università degli Studi di Trieste e Sapienza Università di Roma – che gli intervalli consonanti vengono prodotti in segnali sociali di tipo acustico».
La ricerca è stata condotta su 130 pulcini implumi; una volta schiusi, i pulcini – che non necessitano di alcuna cura parentale, né per sviluppare il repertorio vocale né per deambulare – sono stati allevati per quattro giorni, a coppie, in gabbie rettangolari a temperatura ambiente controllata.
All’università di Trieste spiegano che «Per ogni pulcino sono stati registrati in arene insonorizzate i seguenti richiami: di contatto emesso dal pulcino quando prova disagio perché, ad esempio, separato dalla chioccia, di covata emesso in situazioni piacevoli e di cibo emesso quando il pulcino identifica una fonte di cibo redditizia. Questi richiami fanno parte di un complesso codice vocale che i pulcini sviluppano dalla schiusa all’età adulta per comunicare i loro bisogni agli altri conspecifici e per esprimere la natura positiva o negativa di una situazione che stanno vivendo. I ricercatori hanno stimolato la produzione di ciascun tipo di richiamo da parte dei pulcini ricreando gradualmente la situazione naturale associata a ciascuno di essi. In particolare, hanno registrato: i richiami di contatto, lasciando soli i pulcini nell’arena vuota dopo averli separati dal compagno di allevamento e dall’oggetto per l’imprinting; i richiami di covata, inserendo un oggetto per l’imprinting al centro dell’arena dopo l’isolamento iniziale; i richiami di cibo, posizionando un piatto di cibo al centro dell’arena dopo aver rimosso l’oggetto per l’imprinting».
Analizzati i picchi minimi e massimi delle frequenze fondamentali e calcolatone il rapporto, lo studio ha rivelato «Ua prevalenza di consonanza perfetta in tutti i tipi di richiamo, a conferma dell’idea che i suoni consonanti siano intrinsecamente presenti nella comunicazione animale. Le sole dissonanze registrate sono state rinvenute in situazioni di particolare distress, quali ad esempio contesti d’isolamento».
La Chiandetti, professore associato di psicobiologia, conclude; «Questa ricerca potrebbe aprire ad applicazioni promettenti: un pulcino che emette un suono con una certa frequenza verosimilmente sta indicando un certo tipo di situazione e oggi sappiamo che i richiami più armonici sono quelli emessi nelle situazioni più piacevoli” . “A seconda della dominanza di consonanze o dissonanze, potremo arrivare a comprendere lo status emotivo dell’animale associato al contesto in cui si trova: non siamo poi così lontani dal poter immaginare dispositivi in grado di registrare i richiami e restituire il livello di comfort o stress dell’animale che ci troviamo di fronte, anche dei polli che, come direbbe lo scrittore Andrew Lawler, sono gli uccelli che hanno alimentato la civiltà».