Linguaggi animali

I linguaggi animali sono forme di comunicazione animale non umana che mostrano somiglianze con il linguaggio umano . Gli animali comunicano attraverso una varietà di segni, come suoni o movimenti. I segni tra gli animali possono essere considerati abbastanza complessi da essere una forma di linguaggio se l’inventario dei segni è ampio. I segni sono relativamente arbitrari e gli animali sembrano produrli con un certo grado di volizione (in contrasto con comportamenti condizionati relativamente automatici o istinti incondizionati, che di solito includono le espressioni facciali). Nei test sperimentali, la comunicazione animale può essere evidenziata anche attraverso l’uso di lessigrammi da parte di scimpanzé e bonobo .

Molti ricercatori sostengono che alla comunicazione animale manchi un aspetto chiave del linguaggio umano, la creazione di nuovi modelli di segni in varie circostanze. Gli esseri umani, al contrario, producono abitualmente combinazioni di parole completamente nuove. Alcuni ricercatori, tra cui il linguista Charles Hockett , sostengono che il linguaggio umano e la comunicazione animale differiscono così tanto che i principi sottostanti non sono correlati. [1] Di conseguenza, il linguista Thomas A. Sebeok ha proposto di non utilizzare il termine “linguaggio” per i sistemi di segni degli animali. [2] Tuttavia, altri linguisti e biologi, tra cui Marc Hauser , Noam Chomsky e W. Tecumseh Fitch, affermano che esiste un continuum evolutivo tra i metodi di comunicazione del linguaggio animale e umano . [3]

Aspetti del linguaggio umano 

Umano e scimmia, in questo caso Claudine André con un bonobo .

Il linguaggio umano contiene le seguenti proprietà. Alcuni esperti sostengono che queste proprietà separano il linguaggio umano dalla comunicazione animale: 

  • Arbitrarietà : solitamente non esiste una relazione razionale tra un suono o un segno e il suo significato. [5] Ad esempio, non c’è nulla di intrinsecamente domestico nella parola “casa”.
  • Discretezza : il linguaggio è composto da parti piccole, separate e ripetibili (unità discrete, ad esempio morfemi ) che vengono utilizzate in combinazione per creare significato.
  • Spostamento : il linguaggio può essere utilizzato per comunicare su cose che non si trovano nelle immediate vicinanze né spazialmente né temporalmente. [5]
  • Dualità di modelli : le più piccole unità significative (parole o morfemi) sono costituite da sequenze di unità prive di significato (suoni o fonemi ). [5] Si parla anche di doppia articolazione .
  • Produttività : gli utenti possono comprendere e creare un numero indefinitamente elevato di espressioni. [5]
  • Semanticità : segnali specifici hanno significati specifici. [5]

La ricerca sulle scimmie , come quella di Francine Patterson con Koko [6] (gorilla) o di Allen e Beatrix Gardner con Washoe [7] [8] (scimpanzé), ha suggerito che le scimmie sono in grado di utilizzare un linguaggio che soddisfa alcuni di questi requisiti, tra cui arbitrarietà, discrezionalità e produttività. [9]

In natura, gli scimpanzé sono stati visti “parlare” tra loro quando avvisano dell’avvicinarsi del pericolo. Ad esempio, se uno scimpanzé vede un serpente, emette un suono basso e rimbombante, segnalando a tutti gli altri scimpanzé di arrampicarsi sugli alberi vicini. [10] In questo caso, la comunicazione degli scimpanzé non indica spostamento, poiché è interamente contenuta in un evento osservabile.

È stata notata arbitrarietà nei richiami dei suricati ; le danze delle api dimostrano elementi di spostamento spaziale; e la trasmissione culturale è probabilmente avvenuta attraverso il linguaggio tra i bonobo chiamati Kanzi e Panbanisha . [11]

Il linguaggio umano potrebbe anche non essere del tutto “arbitrario”. La ricerca ha dimostrato che quasi tutti gli esseri umani dimostrano naturalmente una percezione crossmodale limitata (ad esempio sinestesia ) e un’integrazione multisensoriale , come illustrato dallo studio di Kiki e Bouba . [12] [13] Altre ricerche recenti hanno cercato di spiegare come è emersa la struttura del linguaggio umano, confrontando due diversi aspetti della struttura gerarchica presenti nella comunicazione animale e proponendo che il linguaggio umano sia nato da questi due sistemi separati. [14]

Tuttavia, le affermazioni secondo cui gli animali hanno abilità linguistiche simili a quelle umane sono estremamente controverse. Nel suo libro The Language Instinct , [15] Steven Pinker illustra che le affermazioni secondo cui gli scimpanzé acquisiscono il linguaggio sono esagerate e si basano su prove molto limitate o speciose. [15]

Il linguista americano Charles Hockett ha teorizzato che ci sono sedici caratteristiche del linguaggio umano che distinguono la comunicazione umana da quella degli animali. Chiamò queste le caratteristiche progettuali del linguaggio . Le caratteristiche menzionate di seguito sono state finora trovate in tutte le lingue umane parlate, e almeno una manca in qualsiasi altro sistema di comunicazione animale.

  • Canale vocale-uditivo : i suoni vengono emessi dalla bocca e percepiti dal sistema uditivo. [5] Anche se questo vale per molti sistemi di comunicazione animale, ci sono molte eccezioni, come quelli che si basano sulla comunicazione visiva. Un esempio sono i cobra che estendono le costole dietro la testa per inviare il messaggio di intimidazione o di sentirsi minacciati. [16] Negli esseri umani, le lingue dei segni forniscono molti esempi di lingue completamente formate che utilizzano un canale visivo.
  • Trasmissione broadcast e ricezione direzionale : [5] Ciò richiede che il destinatario possa indicare la direzione da cui proviene il segnale e quindi l’originatore del segnale.
  • Svanimento rapido ( natura transitoria ): il segnale dura poco. [5] Questo è vero per tutti i sistemi che coinvolgono il suono. Non tiene conto della tecnologia di registrazione audio e non è vero nemmeno per la lingua scritta. Tende a non applicarsi ai segnali degli animali che coinvolgono sostanze chimiche e odori che spesso svaniscono lentamente. Ad esempio, l’odore di una puzzola, prodotto nelle sue ghiandole, persiste per dissuadere un predatore dall’attaccare. [17]
  • Intercambiabilità : tutti gli enunciati compresi possono essere prodotti. [5] Questo è diverso da alcuni sistemi di comunicazione in cui, ad esempio, i maschi producono un insieme di comportamenti e le femmine un altro e non sono in grado di scambiare questi messaggi in modo che i maschi utilizzino il segnale femminile e viceversa. Ad esempio, le falene eliotiche hanno una comunicazione differenziata: le femmine sono in grado di inviare una sostanza chimica per indicare la preparazione all’accoppiamento, mentre i maschi non possono inviare la sostanza chimica. [18]
  • Feedback totale : il mittente di un messaggio è a conoscenza del messaggio inviato. [5]
  • Specializzazione : il segnale prodotto è destinato alla comunicazione e non è dovuto ad un altro comportamento. [5] Ad esempio, l’ansimare del cane è una reazione naturale al surriscaldamento, ma non viene prodotto per trasmettere specificamente un messaggio particolare.
  • Semanticità : esiste una relazione fissa tra un segnale e un significato. [5]

Primati 

Gli esseri umani sono in grado di distinguere le parole vere da quelle false in base all’ordine fonologico della parola stessa. In uno studio del 2013, è stato dimostrato che anche i babbuini possiedono questa abilità. La scoperta ha portato i ricercatori a credere che la lettura non sia un’abilità così avanzata come si credeva in precedenza, ma si basa invece sulla capacità di riconoscere e distinguere le lettere l’una dall’altra. L’esperimento consisteva in sei giovani babbuini adulti e i risultati sono stati misurati consentendo agli animali di utilizzare un touch screen e selezionare se la parola visualizzata era o meno una parola reale o una non parola come “dran” o “telk”. . Lo studio è durato sei settimane, durante le quali sono stati completati circa 50.000 test. I ricercatori hanno minimizzato i bigram comuni, o combinazioni di due lettere, in non parole, e massimizzarle in parole reali. Ulteriori studi cercheranno di insegnare ai babbuini come utilizzare un alfabeto artificiale. [19]

In uno studio del 2016, un team di biologi di diverse università ha concluso che i macachi possiedono tratti vocali fisicamente capaci di parlare, “ma mancano di un cervello pronto a parlare per controllarlo”. [20] [21]

Non primati 

Tra gli esempi più studiati di lingue non primatiche ci sono:

Uccelli

  • Canti degli uccelli : gli uccelli canori possono essere molto articolati. I pappagalli grigi sono famosi per la loro capacità di imitare il linguaggio umano e almeno un esemplare, Alex , sembrava in grado di rispondere a una serie di semplici domande sugli oggetti che gli venivano presentati, come rispondere a semplici equazioni matematiche e identificare i colori. Pappagalli , colibrì e uccelli canori mostrano modelli di apprendimento vocale.

  • Danza delle api : utilizzata per comunicare la direzione e la distanza della fonte di cibo in molte specie di api .

Mammiferi 

  • Elefanti africani delle foreste : il progetto di ascolto degli elefanti della Cornell University [22] iniziò nel 1999 quando Katy Payne iniziò a studiare i richiami degli elefanti africani delle foreste nel Parco nazionale di Dzanga nella Repubblica Centrafricana . Andrea Turkalo ha continuato il lavoro di Payne nel Parco Nazionale Dzanga osservando la comunicazione degli elefanti. [22] Per quasi 20 anni, Turkalo ha trascorso la maggior parte del suo tempo utilizzando uno spettrogrammaper registrare i rumori che fanno gli elefanti. Dopo lunghe osservazioni e ricerche, è stata in grado di riconoscere gli elefanti dalla loro voce. I ricercatori sperano di tradurre queste voci in un dizionario degli elefanti, ma probabilmente ciò non accadrà per molti anni. perché? ] Poiché i richiami degli elefanti vengono spesso effettuati a frequenze molto basse, lo spettrogramma è progettato per rilevare frequenze più basse di quelle che gli esseri umani possono percepire, consentendo a Turkalo di comprendere meglio il rumore degli elefanti. La ricerca di Cornell sugli elefanti delle foreste africane ha messo in discussione l’idea che gli esseri umani siano notevolmente più bravi degli animali nell’uso del linguaggio e che gli animali abbiano solo una piccola serie di informazioni da trasmettere agli altri. Come ha spiegato Turkalo, “molti dei loro richiami sono in qualche modo simili al linguaggio umano.[23]
  • Pipistrelli baffuti : poiché questi animali trascorrono la maggior parte della loro vita nell’oscurità, fanno molto affidamento sul loro sistema uditivo per comunicare, anche tramite l’ecolocalizzazione e utilizzando i richiami per localizzarsi a vicenda. Gli studi hanno dimostrato che i pipistrelli baffuti utilizzano un’ampia varietà di richiami per comunicare tra loro. Questi richiami includono 33 suoni diversi, o “sillabe”, che i pipistrelli usano da soli o combinano in vari modi per formare sillabe composite. [24]
  • Cani della prateria : Con Slobodchikoff ha studiato la comunicazione dei cani della prateria e ha scoperto che usano diversi segnali di allarme e comportamenti di fuga per diverse specie di predatori. I loro richiami trasmettono informazioni semantiche, come è stato dimostrato quando la riproduzione di richiami di allarme in assenza di predatori ha portato a un comportamento di fuga appropriato per i tipi di predatori associati ai richiami. I richiami di allarme contengono anche informazioni descrittive sulle dimensioni generali, sul colore e sulla velocità del predatore. [25]

Mammiferi acquatici [ modifica ]

  • Delfini tursiopi : i delfini possono sentirsi tra loro fino a 6 miglia di distanza sott’acqua. [26] I ricercatori hanno osservato una madre delfino comunicare con successo con il suo bambino utilizzando un telefono. Sembrava che entrambi i delfini sapessero con chi stavano parlando e di cosa stavano parlando. Non solo i delfini comunicano tramite segnali non verbali, ma sembrano anche chiacchierare e rispondere alle vocalizzazioni degli altri delfini. [27]
Spettrogramma delle vocalizzazioni delle megattere. Vengono mostrati i dettagli per i primi 24 secondi della registrazione della “canzone” della megattera di 37 secondi. I canti delle balene e i “clic” dell’ecolocalizzazione sono visibili rispettivamente come striature orizzontali e movimenti verticali.

“Canzone” della megattera

0:38Registrazione del canto e del ticchettio delle megattere.


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  • Balene : due gruppi di balene, la megattera e una sottospecie di balenottera azzurra che si trova nell’Oceano Indiano , sono noti per produrre suoni ripetuti a frequenze variabili, noti come canti delle balene . I maschi delle megattere eseguono queste vocalizzazioni solo durante la stagione degli amori, e quindi si suppone che lo scopo dei canti sia quello di aiutare la selezione sessuale.. Le megattere emettono anche un suono chiamato richiamo del cibo, che dura dai cinque ai dieci secondi con una frequenza quasi costante. Le megattere generalmente si nutrono in modo cooperativo riunendosi in gruppi, nuotando sotto banchi di pesci e lanciandosi verticalmente attraverso i pesci e fuori dall’acqua insieme. Prima di questi affondi, le balene fanno il loro richiamo alimentare. Lo scopo esatto del richiamo non è noto, ma la ricerca suggerisce che i pesci reagiscono ad esso. Quando il suono è stato riprodotto loro, un gruppo di aringhe ha risposto al suono allontanandosi dal richiamo, anche se non era presente nessuna balena. citazione necessaria ]
  • Leoni marini : dal 1971, Ronald J. Schusterman e i suoi collaboratori di ricerca hanno studiato le capacità cognitive dei leoni marini. Hanno scoperto che i leoni marini sono in grado di riconoscere le relazioni tra stimoli sulla base di funzioni simili o connessioni stabilite con i loro pari, piuttosto che solo sulle caratteristiche comuni degli stimoli. Questa si chiama classificazione di equivalenza . Questa capacità di riconoscere l’equivalenza può essere un precursore del linguaggio. [28] La ricerca è attualmente in corso presso il Pinniped Cognition & Sensory Systems Laboratory per determinare come i leoni marini formano queste relazioni di equivalenza . È stato dimostrato anche che i leoni marini comprendono la sintassi semplicee comanda quando viene insegnato un linguaggio dei segni artificiale simile a quello usato con i primati. [29] I leoni marini studiati sono stati in grado di apprendere e utilizzare una serie di relazioni sintattiche tra i segni che erano stati loro insegnati, ad esempio il modo in cui i segni dovrebbero essere disposti l’uno in relazione all’altro. Tuttavia, i leoni marini usavano raramente i segni in modo semantico o logico. [30] In natura si pensa che i leoni marini utilizzino capacità di ragionamento legate alle relazioni di equivalenza per prendere decisioni importanti che possono influenzare la loro sopravvivenza, ad esempio riconoscere amici e parenti o evitare nemici e predatori. [28] I leoni marini utilizzano varie posizioni posturali e una serie di latrati, cinguettii, clic, gemiti, ringhi e squittii per comunicare. [31]Non è ancora stato dimostrato che i leoni marini utilizzino l’ecolocalizzazione come mezzo di comunicazione. [32]

Gli effetti dell’apprendimento sulla segnalazione uditiva in questi animali sono di interesse per i ricercatori. Diversi ricercatori hanno sottolineato che alcuni mammiferi marini sembrano avere la capacità di alterare sia le caratteristiche contestuali che strutturali delle loro vocalizzazioni come risultato dell’esperienza. Janik e Slater hanno affermato che l’apprendimento può modificare le vocalizzazioni in due modi, influenzando il contesto in cui viene utilizzato un particolare richiamo, o alterando la struttura acustica del richiamo stesso. [33] I leoni marini maschi della California possono imparare a inibire l’abbaiare in presenza di qualsiasi maschio dominante per loro, ma vocalizzano normalmente quando i maschi dominanti sono assenti. [34]I diversi tipi di richiamo delle foche grigie possono essere selettivamente condizionati e controllati da diversi segnali, [35] e l’uso del rinforzo alimentare può anche modificare le emissioni vocali. Una foca maschio in cattività di nome Hoover ha dimostrato un caso di mimetismo vocale, ma da allora non sono state riportate osservazioni simili. Still mostra che, nelle giuste circostanze, i pinnipedi possono utilizzare l’esperienza uditiva oltre alle conseguenze ambientali come il rinforzo alimentare e il feedback sociale per modificare le loro emissioni vocali. citazione necessaria ]

In uno studio del 1992, Robert Gisiner e Schusterman condussero esperimenti in cui tentarono di insegnare la sintassi a una femmina di leone marino della California di nome Rocky. [30] A Rocky furono insegnate le parole segnate, quindi le fu chiesto di eseguire vari compiti dipendenti dall’ordine delle parole dopo aver visualizzato un’istruzione segnata. Si è scoperto che Rocky era in grado di determinare le relazioni tra segni e parole e formare la sintassi di base. [30] Uno studio del 1993 di Schusterman e David Kastak ha scoperto che il leone marino della California era in grado di comprendere concetti astratti come simmetria, identità e transitività . Ciò suggerisce che le relazioni di equivalenza possono formarsi senza linguaggio.

I suoni caratteristici dei leoni marini vengono prodotti sia sopra che sott’acqua. Per marcare il territorio, i leoni marini “abbaiano”, con i maschi non alfa che fanno più rumore degli alfa. Sebbene anche le femmine abbaiano, lo fanno meno frequentemente e più spesso in occasione del parto o della cura dei loro piccoli. Le femmine producono una vocalizzazione lamentosa altamente direzionale, il richiamo dell’attrazione dei cuccioli, che aiuta madri e cuccioli a localizzarsi a vicenda. Come notato in Comportamento animale , il loro stile di vita anfibio ha reso loro necessari la comunicazione acustica per l’organizzazione sociale sulla terraferma.

I leoni marini possono sentire frequenze comprese tra 100  Hz e 40.000 Hz e vocalizzare tra 100 e 10.000 Hz. [36]

Molluschi 

  • È stato dimostrato che i calamari della barriera corallina caraibica comunicano utilizzando una varietà di cambiamenti di colore, forma e consistenza. I calamari sono capaci di rapidi cambiamenti nel colore e nella struttura della pelle attraverso il controllo del sistema nervoso dei cromatofori . [37] Oltre a mimetizzarsi e apparire più grandi di fronte a una minaccia, i calamari usano colori, motivi e lampeggiamenti per comunicare tra loro in vari rituali di corteggiamento. I calamari della barriera corallina caraibica possono inviare un messaggio tramite motivi colorati a un calamaro alla loro destra, mentre inviano un altro messaggio a un calamaro alla loro sinistra. [38] [39]

Pesce 

Confronto tra “linguaggio animale” e “comunicazione animale” 

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Vale la pena distinguere il “linguaggio animale” dalla “comunicazione animale”, sebbene in alcuni casi vi sia qualche interscambio comparativo (ad esempio gli studi sul richiamo del cercopiteco di Cheney e Seyfarth ). [43] Il linguaggio animale in genere non include la danza delle api, il canto degli uccelli, il canto delle balene, i fischietti dei delfini, i cani della prateria, né i sistemi comunicativi presenti nella maggior parte dei mammiferi sociali. citazione necessaria ] Le caratteristiche del linguaggio sopra elencate sono una formulazione datata di Hockettnel 1960. Attraverso questa formulazione Hockett fece uno dei primi tentativi di scomporre le caratteristiche del linguaggio umano allo scopo di applicare il gradualismo darwiniano. Sebbene abbia influenzato i primi sforzi sul linguaggio animale (vedi sotto), non è più considerata l’architettura chiave al centro della ricerca sul linguaggio animale. citazione necessaria ]

Clever Hans, un cavallo Orlov Trotter che si diceva fosse in grado di eseguire compiti aritmetici e altri compiti intellettuali

I risultati del linguaggio animale sono controversi per diverse ragioni (per una controversia correlata, vedere anche Clever Hans ). Negli anni ’70, John C. Lilly stava tentando di “infrangere il codice”: comunicare pienamente idee e concetti con le popolazioni selvatiche di delfini in modo da poter condividere la cultura umana e dei delfini, la storia e altro ancora. Questo sforzo è fallito. Il primo lavoro sugli scimpanzé riguardava i bambini di scimpanzé allevati come se fossero umani; una prova dell’ipotesi natura vs. educazione. citazione necessaria ]Gli scimpanzé hanno una struttura laringea molto diversa da quella degli esseri umani, ed è stato suggerito che gli scimpanzé non siano in grado di controllare volontariamente la respirazione, sebbene siano necessari studi migliori per confermarlo con precisione. Si ritiene che questa combinazione renda molto difficile per gli scimpanzé riprodurre le intonazioni vocali richieste per il linguaggio umano. I ricercatori alla fine si sono spostati verso una modalità gestuale (linguaggio dei segni), così come verso dispositivi a tastiera carichi di pulsanti decorati con simboli (noti come “lessigrammi”) che gli animali potevano premere per produrre un linguaggio artificiale. Altri scimpanzé imparavano osservando soggetti umani svolgere il compito. citazione necessaria ]Quest’ultimo gruppo di ricercatori che studiano la comunicazione degli scimpanzé attraverso il riconoscimento dei simboli (tastiera) così come attraverso l’uso del linguaggio dei segni (gestuale), sono all’avanguardia nelle scoperte comunicative nello studio del linguaggio animale e hanno familiarità con i loro soggetti su un piano più ampio. base del nome: Sarah, Lana, Kanzi, Koko, Sherman, Austin e Chantek. citazione necessaria ]

Forse il critico più noto del linguaggio animale è Herbert Terrace. La critica di Terrace del 1979, basata sulla propria ricerca con lo scimpanzé Nim Chimpsky [44] [45], fu feroce e sostanzialmente segnò la fine della ricerca sul linguaggio animale in quell’epoca, la maggior parte della quale enfatizzava la produzione del linguaggio da parte degli animali. In breve, ha accusato i ricercatori di sovrainterpretare i loro risultati, soprattutto perché raramente sono parsimoniosiattribuire una vera “produzione linguistica” intenzionale quando potrebbero essere avanzate altre spiegazioni più semplici per i comportamenti (segni gestuali della mano). Inoltre i suoi animali non riescono a generalizzare il concetto di riferimento tra le modalità di comprensione e di produzione; questa generalizzazione è una delle tante fondamentali che sono banali per l’uso del linguaggio umano. La spiegazione più semplice secondo Terrace era che gli animali avevano appreso una serie sofisticata di strategie comportamentali basate sul contesto per ottenere rinforzo primario (cibo) o sociale , comportamenti che potevano essere sovrainterpretati come uso del linguaggio.

Nel 1984 Louis Herman pubblicò sulla rivista Cognition un resoconto del linguaggio artificiale nel delfino tursiope . [46] Una delle principali differenze tra il lavoro di Herman e la ricerca precedente era la sua enfasi su un metodo di studio della sola comprensione del linguaggio (piuttosto che sulla comprensione e produzione del linguaggio da parte degli animali), che consentiva controlli rigorosi e test statistici, in gran parte perché era limitando i suoi ricercatori a valutare i comportamenti fisici degli animali (in risposta alle frasi) con osservatori ciechi, piuttosto che tentare di interpretare possibili espressioni o produzioni linguistiche. I nomi dei delfini qui erano Akeakamai e Phoenix. [46] Irene Pepperbergha utilizzato la modalità vocale per la produzione e la comprensione del linguaggio in un pappagallo grigio di nome Alex in modalità verbale, [47] [48] [49] [50] e Sue Savage-Rumbaugh continua a studiare i bonobo [51] [52] come Kanzi e Panbanisha. R. Schusterman ha duplicato molti dei risultati dei delfini nei suoi leoni marini della California (“Rocky”) e proveniva da una tradizione più comportamentista rispetto all’approccio cognitivo di Herman. L’enfasi di Schusterman è sull’importanza di una struttura di apprendimento nota come classi di equivalenza . [53] [54]

Tuttavia, nel complesso, non c’è stato alcun dialogo significativo tra la sfera della linguistica e quella del linguaggio animale, nonostante abbia catturato l’immaginazione del pubblico nella stampa popolare. Inoltre, il crescente campo dell’evoluzione del linguaggio è un’altra fonte di futuro interscambio tra queste discipline. La maggior parte dei ricercatori sui primati tende a mostrare una propensione verso un’abilità prelinguistica condivisa tra esseri umani e scimpanzé, risalente a un antenato comune, mentre i ricercatori sui delfini e sui pappagalli sottolineano i principi cognitivi generali alla base di queste capacità. Le controversie più recenti relative alle capacità degli animali includono le aree strettamente collegate della teoria della mente , l’Imitazione (ad esempio Nehaniv & Dautenhahn, 2002), [55] Cultura animale (ad esempio Rendell & Whitehead, 2001), [56]ed evoluzione del linguaggio (ad esempio Christiansen & Kirby, 2003). [57]

Recentemente nella ricerca sul linguaggio animale si è verificata una contestazione dell’idea che la comunicazione animale sia meno sofisticata di quella umana. Denise Herzing ha condotto una ricerca sui delfini alle Bahamas creando una conversazione bidirezionale tramite una tastiera sommersa. [58]La tastiera consente ai subacquei di comunicare con i delfini selvatici. Utilizzando suoni e simboli su ciascun tasto, i delfini potevano premere il tasto con il naso o imitare il sibilo emesso per chiedere agli esseri umani un oggetto specifico. Questo esperimento in corso ha dimostrato che nelle creature non linguistiche si verifica un pensiero sofisticato e rapido nonostante le nostre precedenti concezioni della comunicazione animale. Ulteriori ricerche condotte con Kanzi utilizzando i lessigrammi hanno rafforzato l’idea che la comunicazione animale è molto più complessa di quanto si pensasse. 

FONTE WIKIPEDIA

Gli animali capiscono la morte? Un’indagine fra natura e filosofia

L’opossum di Schrödinger ricalca nel titolo il famoso paradosso del “gatto” di Erwin Schrödinger, premio Nobel per la fisica nel 1933, che contribuì allo sviluppo della meccanica quantistica. Quando si sente minacciato e non vede possibilità di fuga, l’opossum rimane fermo, immobile, come paralizzato: le sue funzioni vitali sono ridotte al minimo, è simile perciò a un cadavere, fin quando la minaccia non è passata. In pratica, come il gatto di Schrödinger, è vivo e morto allo stesso tempo.

Quello sull’opossum è un capitolo del libro di Susana Monsó – filosofa versata in campo naturalistico – dedicato al senso della morte negli animali: la comprendono, questi, alla stessa maniera degli esseri umani? Tanti i casi, più o meno impressionanti, squadernati davanti ai nostri occhi. Nel 1997 un giovane si suicida nel suo appartamento. Quando il cadavere vien trovato, si nota che gli manca parte del viso e del collo: glieli aveva staccati il suo bel pastore tedesco, che ora, tranquillissimo, gli sta accucciato accanto. Aveva divorato l’amato padrone per fame? Neanche per idea. Dalla morte del giovane erano passati più o meno tre quarti d’ora, e la ciotola con i croccantini era piena. Probabilmente l’animale, per affetto, aveva provato a far reagire il suicida, leccandolo e mordicchiandolo. Poi, frustrato, e alla vista del sangue, non aveva resistito alla tentazione di far colazione col morto.

Non dobbiamo credere che gli animali reagiscano alla morte in maniera analoga agli uomini. E ciò anche in casi commoventi come quello dell’orca Tahlequah, che nel 2018 commosse il mondo. Aveva perso il suo cucciolo, e sembrava incapace di accettarne la perdita. Portava con sé il cadaverino, spingendolo col muso e facendo in modo che non affondasse. Ma avrà davvero compreso che il piccolo era morto?

Il rischio di cadere nell’antropomorfismo quando si interpreta il comportamento degli animali è sempre in agguato. Detto ciò, non dobbiamo però ritenere che solo l’essere umano abbia una vita emotiva. In forme diverse, ce l’hanno pure gli altri animali.

NOTA DI REDAZIONE

Eppure a commento di questo articolo devo dire che ho avuto esperienze tragica con i miei cani, quando mori’ improvvisamente la mia prima schnauzer, il piccolo schnauzer nano, la vide a terra e gli si buttò sopra per impedirci di portarla via, poi passò giorni senza toccare cibo.

Sempre lui, il mio piccolo Strauss, assistette alla morte del cane di mia figlia Rhum, poco prima che il cane spirasse lui emise un lunghissimo ululato, vocalizzo che non aveva mai fatto e poco dopo Rhum esalò con una sorta di grido il suo ultimo respiro.

Manuela Valletti

FONTE

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Come ridurre gli impatti delle navi contro gli animali marini

Le linee guida contenute in uno studio pubblicato su Nature che sottolinea come “l’umanità e alcuni degli animali selvatici più carismatici del mondo sono in rotta di collisione negli oceani”

Si possono intraprendere semplici azioni per prevenire la morte di balene, squali e altri giganti dell’oceano causata da collisioni con le navi. Lo sostengono David Sims della Marine Biological Association, Plymouth, GB, e colleghi in un commento su “Nature” di questa settimana. “L’umanità e alcuni degli animali selvatici più carismatici del mondo sono in rotta di collisione negli oceani”, scrivono.

La flotta mercantile mondiale – dalle petroliere alle navi portacontainer – è raddoppiata in soli 16 anni. Tra il 2014 e il 2050 si prevede che il traffico marittimo aumenterà fino al 1.200 per cento. Questi numeri, combinati con i dati su dove le rotte di navigazione si sovrappongono ai movimenti e alle aggregazioni di animali marini, insieme alle valutazioni degli effetti delle collisioni navali su determinate specie, presentano un quadro allarmante, spiegano gli autori.

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Nel loro commento, espongono ciò che è necessario per affrontare questo problema su scala globale:

  • dati migliori su dove, quando, quanto spesso e per quali specie si verificano le collisioni;
  • un maggiore impegno sul problema, sia da parte del settore marittimo che del pubblico;
  • regolamenti che reindirizzano le navi o ne riducono la velocità quando attraversano determinate aree;
  • il monitoraggio del rispetto di tali restrizioni.

“Dare alle collisioni navali una priorità più alta a livello globale è un modo immediatamente realizzabile per aiutare a conservare le specie marine più vulnerabili e iconiche del mondo”, concludono.

Fonte

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 Barbara Guarini

DONNOLA

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Possiedono denti e artigli affilati che utilizzano per difendersi e cacciare le loro prede. La ghiottone, anche conosciuta come volverina, è uno dei mustelidi più aggressivi ed è nota per il suo comportamento territoriale e aggressivo nei confronti degli altri animali.

Il tasso del miele è un piccolo mammifero che vive principalmente nelle foreste. Sebbene possa sembrare tenero e innocente, il tasso del miele può essere estremamente aggressivo quando sente intorno a se una minaccia. Questi animali sono noti per la loro forza, coraggio e abilità nel combattere contro nemici molto più grandi di loro.

I soricidi, noti anche come toporagni, sono piccoli mammiferi simili ai topi. Nonostante le loro dimensioni ridotte, sono incredibilmente aggressivi e territoriali. I soricidi utilizzano il loro lungo muso e i loro denti affilati per difendersi dagli altri animali e per cacciare le loro prede.

L’ippopotamo è considerato uno degli animali più pericolosi del mondo. Nonostante l’apparenza inoffensiva, questi enormi mammiferi possono diventare estremamente aggressivi se si sentono minacciati.

Gli ippopotami possono mordere con una forza incredibile e possono attaccare sia gli esseri umani che gli altri animali con i loro forti incisivi. Sono anche noti per essere territoriali e proteggere con aggressività il loro territorio, soprattutto quando ci sono femmine o cuccioli da difendere.

mantoideinoti anche come mantidi religiose, sono insetti predatori che possono sembrare tranquilli e delicati, ma sono estremamente aggressivi nella caccia delle loro prede. Le mantidi religiose sono maestre del mimetismo e possono rimanere immobili per ore ad aspettare il momento giusto per attaccare. Quando finalmente colpiscono, lo fanno con grande velocità e ferocia.

La foca leopardo è un carnivoro marino che abita nelle fredde acque dell’Antartide. Queste foche possono sembrare affascinanti e giocose, ma sono anche molto aggressive e pericolose. Sono capaci di attaccare sia altre foche che pinguini con una forza impressionante e utilizzano i loro denti affilati per cacciare e uccidere le loro prede.

Infine, gli erpestidiuna famiglia di serpenti velenosi, sono anche tra gli animali più aggressivi del mondo. Questi serpenti sono noti per la loro aggressività difensiva e possono attaccare quando si sentono minacciati. Il loro morso è estremamente pericoloso a causa della loro potente tossina.

FONTE

Adamo, scelse il nome degli animali

di Filippo Maria Leonardi 

Nel libro della Genesi si racconta che Adamo ebbe il compito di assegnare i nomi agli animali (Gn 2:18-20) cosicché «nel modo in cui Adamo chiamò ogni animale, quello fu il suo nome». L’episodio si riferisce chiaramente alla questione filosofica dell’origine del linguaggio, ma nessuno si è chiesto: per quale motivo l’imposizione dei nomi riguardò gli animali, cioè gli esseri viventi, piuttosto che gli oggetti inanimati? Se interpretiamo il testo biblico in modo letterale, siamo indotti a pensare che l’uomo primitivo cominciò a parlare imitando il verso degli animali per affinità, essendo lui stesso un animale, ma con la capacità peculiare dell’imitazione.

Questa è l’interpretazione più banale, poi bisogna capire anche il significato allegorico. Come si sa, la Genesi contiene due diversi racconti della creazione, per altro in contraddizione fra loro, che sono solitamente considerati come il maldestro assemblaggio di fonti diverse secondo la cosiddetta “ipotesi documentale”. Questa è una teoria recente che ha la pretesa di valere come scientifica, ma se ci si pone dal punto di vista tradizionale, ciò che appare distorto dalla mentalità moderna, risulta invece perfettamente logico e coerente.

Secondo la Genesi: «Dio creò l’uomo a sua immagine». Ma Dio ha anche un’altra immagine speculare che è costituita dal mondo, poiché come recita l’Asclepio: cuius sunt imagines duae mundus et homo. Ora, poiché l’uomo e il mondo sono entrambe immagini di Dio, secondo diverse prospettive, essi si rispecchiano fra loro, essendo il mondo come un grande uomo e l’uomo come un piccolo mondo. Perciò l’uomo è detto anche microcosmo, cioè “piccolo mondo”, poiché le sue parti corrispondono a quelle del macrocosmo, cioè il “grande mondo”. Ebbene, se si tiene conto che anche la Genesi rispetta questa distinzione tradizionale, si vede chiaramente che i due racconti della creazione corrispondono rispettivamente al macrocosmo e al microcosmo. Infatti, il primo racconto si riferisce propriamente alla creazione del cosmo, mentre il secondo si occupa in modo specifico della creazione dell’uomo. Di conseguenza, tutto ciò che fa parte del secondo racconto della creazione, deve essere interpretato allegoricamente come riferito al microcosmo, cioè all’uomo. Per esempio gli animali rappresentano gli istinti e le sensazioni dell’anima umana. Invece, tutto ciò che fa parte del primo racconto della creazione, deve essere interpretato allegoricamente come riferito al macrocosmo, cioè alle leggi cosmologiche d’ordine generale.

Gli animali nel microcosmo

Secondo una certa tradizione gli animali devono essere interpretati, allegoricamente, come una rappresentazione degli istinti, delle pulsioni, dei desideri, delle sensazioni e dei sentimenti. Si chiamano dunque “animali” in quanto dotati di anima ovvero in quanto rappresentazioni dei moti dell’anima e dei tipi psicologici.

In generale l’uomo, come apice della creazione, riassume in sé tutte le facoltà dei gradi di esistenza inferiori, per cui l’anima umana risulta composta da tre diversi tipi di anime: l’anima vegetativa, tipica delle piante; l’anima sensibile, tipica degli animali; l’anima intellettiva, che è propria dell’uomo. San Tommaso d’Aquino le chiama rispettivamente: anima vegetabilis, anima sensibilis, anima rationalis.  Questa tripartizione dell’anima è una sistemazione effettuata dalla Scolastica sulla base delle considerazioni espresse da Aristotele nel De anima: le piante hanno solamente la funzione nutritiva (θρεπτικόν) e generativa (γεννητικὸν); gli animali hanno anche gli appetiti (ὀρεκτικόν), la sensibilità (αἰσθητικόν) e la locomozione (κινητικὸν); l’uomo ha in aggiunta a tutte queste funzioni anche la facoltà intellettiva (διανοητικόν).

Sulla base di questa corrispondenza simbolica ed allegorica, le piante e gli animali rappresentano rispettivamente, nella Genesi, le funzioni dell’anima vegetativa e dell’anima sensibile, che è detta tale in quanto soggetta ai sensi. Filone di Alessandria lo dice chiaramente paragonando i sensi ad un branco di animali: «la natura ha fatto nascere insieme a ciascuno di noi una mandria e, in effetti, l’anima fa spuntare come da un’unica radice due germogli, di cui uno, lasciato assolutamente indiviso, è detto intelletto, mentre l’altro, diviso sei volte, consta di sette parti: i cinque sensi e i due organi della fonazione e della generazione. Ora, tutto questo gruppo, essendo privo di ragione, è stato paragonato a delle mandrie e pertanto, secondo una legge di natura, esso ha necessariamente bisogno di una guida proprio in quanto è una massa». L’intelletto ha il compito di governare i sensi e gli istinti come un pastore la sua mandria, altrimenti essi prendono il sopravvento e si disperdono: «in un modo del tutto analogo si comporta la mandria dei sensi, la quale, subito approfittando dell’indolenza e della trascuratezza dell’intelletto, riempitasi a dismisura di un eccesso di sensazioni, scuote il giogo e va allo sbando dovunque le capiti».

In definitiva, gli animali rappresentano nell’uomo gli istinti e le emozioni, perciò il racconto biblico dell’imposizione dei nomi agli animali, da parte di Adamo, deve essere inteso come denominazione ma anche come dominazione. L’uomo denomina gli animali in quanto loro padrone, ovvero distingue in sé le proprie emozioni per dominarle con la ragione. Dal punto di vista linguistico, ciò significa che l’uomo incominciò a parlare mediante le interiezioni, per esprimere le proprie emozioni che egli distingueva in analogia con i caratteri irrazionali dei diversi animali: indolente, aggressivo, subdolo, timido, etc. La tradizione cristiana medievale, interpretando moralmente l’allegoria, considera i versi degli animali come espressione delle diverse attitudini ed in particolare delle tendenze animalesche verso il vizio e il peccato: «l’avaro ulula come un lupo […] il lussurioso nitrisce come un cavallo […] il superbo ruggisce come un leone».

Gli animali nel macrocosmo

Gli stessi animali che nell’essere umano rappresentano gli istinti o le sensazioni, dal punto di vista cosmologico rappresentano i cicli cosmici ovvero le diverse fasi della manifestazione cosmica. Per rendersene conto basti considerare che tale concezione equivale chiaramente alla definizione dello zodiaco, in greco ζῳδιακός, cioè il grande circolo cosmico percorso dal sole durante l’anno, attraversando le dodici costellazioni poste sul piano dell’eclittica, associate alle dodici figure, per lo più di animali, che rappresentano le diverse fasi dell’anno solare: per esempio l’impetuosità dell’Ariete all’inizio di primavera, l’ardore del Leone nel pieno dell’estate, l’ambiguità del Capricorno nel punto di inversione del movimento del sole, ecc. In definitiva, ciò che nell’uomo sono gli istinti, i temperamenti o le tipologie caratteriali, rappresentati allegoricamente come animali, nel macrocosmo corrisponde alle tendenze naturali, alle stagioni, alle diverse fasi o forme dei cicli cosmici.

Pertanto, considerando nel libro della Genesi il primo racconto della creazione, possiamo notare che i diversi animali sono caratterizzati da specifici movimenti la cui forma rappresenta un particolare tipo di ciclo cosmico: i grandi cetacei che si muovono con moto oscillante sul piano verticale, per metà in emersione e per metà in immersione, rappresentano i grandi cicli cosmici di manifestazione e occultamento; i rettili che si muovono oscillando a destra e sinistra sul piano orizzontale, rappresentano i cicli armonici che alternano tendenze opposte, gli uccelli che muovono le ali in sincronia rappresentano i cicli evolutivi, i mammiferi che camminano con moto sospeso compiendo con gli arti delle traiettorie epicicloidali, rappresentano i cicli biologici e storici che sono soggetti a nascita, crescita, culmine, declino ed estinzione.

Origine del linguaggio

Dal punto di vista linguistico, il passo della Genesi in cui l’uomo denomina gli animali può essere interpretato in tre diversi modi:

  1. L’uomo inventa i nomi per imitazione dei versi degli animali, perciò il linguaggio umano ha una origine onomatopeutica.
  2. L’uomo attribuisce i nomi ai suoi istinti o sentimenti rappresentati allegoricamente sotto forma di animali, perciò il linguaggio deriva dalle cosiddette “interiezioni”.
  3. L’uomo attribuisce i nomi agli archetipi cosmologici che sono alla base della manifestazione universale, perciò il linguaggio umano è la trasposizione del Logos divino che è il principio d’ordine dell’universo.

Ebbene, le prime due interpretazioni corrispondono effettivamente a teorie linguistiche proposte in particolare nel periodo dal XVIII sec. fino al XIX sec. Queste teorie sull’origine del linguaggio umano si focalizzarono sui fenomeni linguistici, di tipo imitativo, in cui la forma fonetica ha un legame diretto e naturale con il significato da essa indicato: le onomatopee e le interiezioni.

Tuttavia il celebre filologo Max Müller, le considerò come fenomeni linguistici marginali e li indicò ironicamente con dei termini infantili: «Per risolvere questo problema sono sorte due teorie che per brevità io chiamo teoria del bow-wow e teoria del pooh-pooh. Stando alla prima, le radici sono imitazioni dei suoni; in base alla seconda, sono delle interiezioni involontarie».

L’idea che il linguaggio si sia formato a partire dalle onomatopee non traspare negli autori antichi se non in forma velata. Secondo Erodoto, il faraone Psammetico I fece un crudele esperimento per stabilire quale fosse la lingua originaria dell’umanità, ovvero la lingua parlata dall’uomo per natura senza condizionamenti culturali. Allo scopo incaricò un pastore di allevare due neonati in mezzo al suo gregge, senza che nessuno potesse comunicare con loro. Dopo due anni il pastore riferì che la prima parola pronunciata dai bambini fu βεκός che in lingua frigia significa “pane”, perciò ne dedusse che i Frigi fossero più antichi degli Egiziani. Ora è altamente improbabile che gli Egiziani, così gelosi della loro millenaria antichità, abbiano ammesso che i Frigi fossero più antichi di loro, perciò si tratta di una di quelle tante “stupidaggini” che secondo lo stesso Erodoto i Greci raccontavano su Psammetico (Ἕλληνες δὲ λέγουσι ἄλλα τε μάταια πολλὰ). Il tono scherzoso della storiella si intuisce dal fatto che la prima parola pronunciata dai due bambini fosse βεκός, cioè chiaramente una imitazione del verso delle pecore o capre in mezzo alle quali erano vissuti, cioè behebehek, da cui il nome del maschio della capra: Bock in tedesco, becco in italiano.

Nel 1730 Giambattista Vico ipotizzava che il linguaggio primitivo si fosse formato inizialmente a partire dalle onomatopee: «nello stesso tempo, che si formò il carattere di Giove, che fu il primo di tutti i pensieri umani gentileschi, incominciò parimente a formarsi la lingua articolata, con l’onomatopea, con la quale tuttavia osserviamo spiegarsi in gran parte i fanciulli: ed esso Giove fu da’ Latini detto dal fragor del tuono dapprima Jous; dal fischio del fulmine da’ Greci fu detto Ζεύς» .

Max Müller, invece, ridimensiona drasticamente il ruolo svolto dalle onomatopee: «La nostra obiezione è che, sebbene in ogni lingua vi siano dei nomi formati per mera imitazione dei suoni, tuttavia questi rappresentano una molto limitata porzione del nostro dizionario. Essi sono i giocattoli, non gli strumenti del linguaggio, e ogni tentativo di ridurre le parole più comuni ed utili alle radici imitative è destinato a fallire».

Anche Ferdinand de Saussure osserva: «Ci si potrebbe basare sulle onomatopee per dire che la scelta del significante non è sempre arbitraria. Ma esse non sono mai elementi organici di un sistema linguistico. Il loro numero è d’altra parte assai meno grande di quanto si creda […] non soltanto sono poco numerose, ma la loro scelta è già in qualche misura arbitraria, poiché non sono altro che l’imitazione approssimativa e già a metà convenzionale di certi rumori».

Come secondo meccanismo di formazione delle parole, dopo le onomatopee, Vico aveva preso in considerazione le interiezioni: «Seguitaron’ a formarsi le voci umane con l’interjezioni, che sono voci articolate dall’empito di violenti passioni, che ‘n tutte le lingue son monosillabiche. Onde non è fuori del verisimile, che da’ primi fulmini incominciata a destarsi negli huomini la maraviglia, nascesse la prima Interjezione da quella di Giove, formata con la voce pa, che poi restò raddoppiata pape; onde poi nacque a Giove il titolo di Padre degli huomini, e degli Dei».

Al che ribatte sempre Max Müller: «La nostra obiezione a questa teoria è la stessa che per la precedente. Non ci sono dubbi che in ogni lingua vi siano delle interiezioni, e che alcune di esse siano diventate tradizionali, e che siano entrate nella composizione delle parole. Ma queste interiezioni sono soltanto marginali rispetto al vero linguaggio. Il linguaggio comincia laddove finiscono le interiezioni».

Aggiunge Saussure: «Le esclamazioni, molto vicine alle onomatopee, danno luogo a osservazioni analoghe e sono altresì poco preoccupanti per la nostra tesi. Si è tentati di vedervi delle espressioni spontanee della realtà, dettate, per dir così, dalla natura. Ma per la maggior parte di esse si può negare che vi sia un legame necessario tra il significante e il significato. Basta confrontare a questo riguardo due lingue per vedere quanto tali espressioni variino da una lingua all’altra».

La teoria fonosemantica

Per lungo tempo, sia i sostenitori che i detrattori dell’ipotesi naturalista, hanno discusso unicamente sul caso specifico delle onomatopee e delle interiezioni, trascurando l’ipotesi di un criterio imitativo generale. Infine fu evidente che le onomatopee e le interiezioni non hanno i requisiti sufficienti per candidarsi come criterio universale di formazione delle parole, poiché hanno un ambito di applicazione molto limitato, differiscono sensibilmente da una lingua all’altra e hanno comunque un certo grado di arbitrarietà. Così, agli inizi del XX sec. la linguistica moderna pose termine alla disputa accettando il postulato di Ferdinand De Saussure: «il legame che unisce il significante al significato è arbitrario» .

Tuttavia se guardiamo a Platone, che per primo pose la questione, e a tutti gli autori che se ne sono occupati in forma esplicita, possiamo renderci conto che nessuno di essi ha mai preso nella minima considerazione né le onomatopee né le interiezioni. Secondo quanto scritto da Marin Mersenne, John Wallis, Gottfried Wilhelm von Leibniz, Charles de Brosses, etc. il valore fonosimbolico dei suoni vocali verte piuttosto su concetti di tipo geometrico e cinematico, quali ad esempio la grandezza, la lunghezza, il movimento, la stasi, la sottigliezza, la levigatezza, l’interiorità, la rotondità, etc. Studi ancor più recenti, per esempio di Köhler, Jakobson, Ohala, etc. hanno ribadito la connessione del fonosimbolismo con la geometria. Dalla concordanza dei vari autori possiamo desumere un principio generale per la fonosemantica: la correlazione fonosimbolica, tra il significante ed il significato, si basa sull’analogia di forma, descritta in termini geometrici, tra la rappresentazione esterna (voce) e la rappresentazione interna (idea).

Questo principio ci riporta al terzo modo di interpretare il mito linguistico della Genesi: Adamo assegna i nomi agli animali, cioè ai principi che governano il mondo, sulla base dell’analogia geometrica. Infatti, in ebraico egli chiama i grandi cetacei con il nome taninnim che deriva da nun, la vibrazione nasale che già presso gli egizi indicava il grande oceano cosmico, rappresentato come un serpente avvolto su se stesso che ispirò, nell’Egitto del periodo ellenistico, la figura alchemica dell’οὐροβόρος. Chiama invece il movimento dei rettili con il nome sherets dalla radice SH+R che secondo Fabre d’Olivet è «composta dai segni del movimento relativo e proprio, cioè circolare e rettilineo». Di conseguenza essa esprime l’idea di un movimento sinusoidale o elicoidale, cioè la risultante della composizione dei due moti circolare e rettilineo. Chiama gli uccelli con l’espressione chof ichofet, che si potrebbe tradurre approssimativamente come “i volatili che volano” ma l’ebraico usa con la combinazione dei suoni CH e F per indicare rispettivamente compressione ed espansione. Infine i mammiferi sono chiamati behemoth dalla radice B+H+M che indica, al contrario, una sequenza di espansione e contrazione. Tutti questi movimenti tipici delle diverse categorie di animali, denominati in modo fonosimbolico, rappresentano le diverse modalità di manifestazione sotto forma di cicli cosmici. Questo simbolismo, di tipo universale, si può ritrovare nelle diverse tradizioni, cosicché ad esempio i mammiferi a quattro zampe, così come i behemoth della Genesi, rappresentano la cicliclità epicicloidale anche nella tradizione indù in cui la legge (dharma) è rappresentata come un toro che si appoggia inizialmente su quattro zampe perdendo l’appoggio di una zampa ad ogni sottociclo, oppure nella tradizione dell’antico Egitto, in cui la costellazione del Carro maggiore era chiamata meskhetiu ed era rappresentata come la coscia di un toro con una sola gamba, come ad esempio nella tomba di Senmut e nel tempio di Dendera.

FONTE

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

– Ermete Trismegisto, Asclepius, 10 > Corpus Hermeticum, a cura di Valeria Schiavone, BUR Rizzoli, Milano, 2001.

– Erodoto, Historiae, II, 2, 4.

– Esiodo, Le opere e i giorni, v. 109-201.

– Filone d’Alessandria, De agricoltura, 30-31.

– Luca Apulus, Sermones, 17, ff. 356 e 447.

– S. Tommaso d’Aquino, Summa theologiaeQuaestio de anima.

– Giambattista Vico, Principj d’una Scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni, Felice Mosca, Napoli, 1730.

– F. M. Müller, Lectures on the Science of Language, Longman – Green – Roberts, London, 1864.

– Ferdinand de Saussure, Cours de linguistique générale, Paris, 1916 > Corso di linguistica generale, La Terza, Bari, [1967] 1986.

– Filippo M. Leonardi, Il terzo principio della Fonosemantica, academia.edu, 2016.