Recuperati 5mila animali selvatici in difficoltà in un anno nel territorio della Città metropolitana di Torino

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Nel 2023 i sanitari del CANC hanno curato quasi 5.000 animali selvatici rinvenuti in difficoltà e recuperati dai propri tecnici faunistici, da privati cittadini o dagli agenti faunistico-ambientali della Città metropolitana di Torino. Tra le specie che più frequentemente in pericolo figurano: i colombi (645 esemplari), i rondoni (499), i ricci (494), i merli (300), i caprioli (103), le volpi (44), i rapaci (62) e i tassi (11). Nell’ambito di “Salviamoli insieme on the road”, gli interventi di recupero e salvataggio sul posto sono stati 250, mentre le segnalazioni telefoniche dei cittadini sono state 1.120.

E anche per il 2024 è stato rinnovato il progetto Salviamolinsieme per il recupero in campo della fauna selvatica, che vede l’impegno diretto del personale della Funzione specializzata tutela fauna e flora della Città metropolitana insieme al Canc, il Centro animali non convenzionali all’interno della Struttura didattica speciale veterinaria dell’Università di Torino. Per l’anno in corso il finanziamento è di 37mila euro. 

Cosa fare se si trova un animale in difficoltà

Dal 2020 il servizio è attivabile 24 ore su 24 tutti i giorni, con una chiamata alla linea telefonica 349-4163385. Il Dipartimento Universitario di Scienze Veterinarie cura il servizio per conto della Città metropolitana. Il cittadino può chiamare il 349-4163385, che lo mette in contatto con un operatore specializzato. Parlando con l’operatore occorre cercare di identificare correttamente il luogo in cui è presente l’animale ferito o in difficoltà. L’operatore può nell’immediato dare consigli su come comportarsi in attesa dell’intervento dei sanitari veterinari. I tecnici che rispondono ai cittadini sono in possesso di una laurea che li abilita a soccorrere e gestire nel modo più corretto la fauna selvatica, tutelando l’incolumità propria e degli animali. L’esperienza accumulata in anni di servizio consente ai tecnici di valutare se, nei casi meno gravi, il cittadino può portare direttamente al CANC gli animali rinvenuti o se, invece, occorre un intervento diretto da parte di personale in grado di manipolare in maniera corretta animali che non sono abituati al contatto con l’uomo e possono subire danni gravi a seguito di un intervento errato.

Cosa prevede il progetto Salviamolinsieme

La convenzione conferma, per il 2024, l’attuale organizzazione di Salviamolinsieme presso il Canc a Grugliasco per le attività sanitarie e di mantenimento, cura e riabilitazione degli animali selvatici rinvenuti feriti o in stato di difficoltà sul territorio metropolitano, ed è articolato in: un servizio di primo soccorso operativo nelle ventiquattro ore tutti i giorni della settimana, in grado di garantire l’accettazione degli animali e le cure sanitarie urgenti o di primo livello; un centro sanitario attrezzato per la terapia medica e chirurgica, terapia post-intervento, prima ospedalizzazione; uno o più centri terapeutico-riabilitativi dotati di strutture atte alla degenza degli animali delle diverse specie e alla loro riabilitazione; una o più strutture che possano ospitare gli animali con invalidità croniche tali da non consentire la loro reimmissione in ambiente naturale e/o animali appartenenti alla fauna esotica recuperati o oggetto di sequestro.

Anche gli animali lo fanno strano (il sesso, ovviamente)

Gli animali fanno sesso nei modi più curiosi, con parecchia fatica e a volte rischiando la vita. E ci sono anche delle specie che cercano (e raggiungono) l’orgasmo.

I leoni possono accoppiarsi 50 volte al giorno nei 3-4 giorni in cui la leonessa è in estro. 

Il sesso è tra le cose più diffuse in natura: lo fanno (quasi) tutti, animali, piante, funghi. E per accoppiarsi, gli animali sono disposti a tutto. Ma quali sono gli stratagemmi che adottano per trovare il partner giusto e riprodursi? Sono tanti, diversi, strani e rischiosi. Anche mortali.

LE BOTTE DELL’ELEFANTE MARINO. Per esempio, un maschio dominante di foca elefante deve difendere il suo harem di femmine pestandosi a sangue con i rivali. «E in quel periodo non può andare in mare a mangiare, deve presidiare la spiaggia e le femmine», dice Francesco Ficetola, docente di strategie riproduttive all’Università degli Studi di Milano. Uno studio di Sophia Volzke della University of Tasmania ha visto che i maschi di elefante marino del Sud muoiono prima, perché per mettere su peso restano nei tratti di mare ricchi di cibo ma pieni di predatori. Nulla però a confronto del maschio delle mantidi, che per il sesso perde proprio la testa, visto che la femmina può staccargliela durante la copula se non riesce a fuggire prima. «Gli studi però provano che, se viene mangiato, la femmina ha più risorse e produce più uova», spiega Ficetola.

FIDANZATI (DAVVERO) APPICCICOSI. Alcuni pesci, invece, sono diventati i fidanzati più appiccicosi del mondo animale. In alcune specie di lofiformi, che vivono in abissi dove non è facile incontrarsi tra partner, il maschio segue l’odore di una femmina e si attacca al suo corpo: diventa una propaggine che riceve nutrimento e fornisce sperma. Per qualcuno poi il sesso è l’unico scopo della vita adulta. «Alcune farfalle, dopo la metamorfosi da bruco, non mangiano, vivono pochi giorni e l’unica cosa che fanno è trovare un partner e accoppiarsi», aggiunge Ficetola.

BONOBO, IL SESSO INNANZITUTTO.  Ci sono delle specie, poi, che provano (anche) piacere. I più noti e studiati sono i bonobo. «Tra i bonomi il sesso è pervasivo, non avviene solo nel periodo fertile delle femmine a scopo riproduttivo, ma sempre. Ci sono rapporti tra maschi e femmine e omosessuali, soprattutto tra femmine», spiega Elisabetta Palagi, docente di etologia all’Università di Pisa. «Col sesso si riducono le tensioni sociali e si fanno amicizie. Le femmine che hanno più contatti sessuali tra loro stringono alleanze e ciò significa ottenere aiuto e accesso al cibo, dunque un vantaggio riproduttivo nel lungo termine».

I RATTI HANNO ORGASMI? Gonzalo Quintana Zunino, dell’Universidad de Tarapacá (Cile), ha affrontato il tema in uno studio intitolato I ratti hanno orgasmi? «Non siamo sicuri che gli animali provino un orgasmo. Ma abbiamo identificato nei ratti alcune risposte misurabili simili a ciò che si rileva nell’esperienza soggettiva umana: cambiamenti fisiologici, come le contrazioni dei muscoli nell’area genitale; comportamenti che segnalano uno stato di piacere, come rilassamento o vocalizzazioni (nel sesso i ratti emettono vocalizzazioni ultrasoniche, un riflesso di sensazioni piacevoli: sia le femmine sia i maschi, dopo l’eiaculazione); cambi comportamentali a lungo termine, come l’associazione tra l’esperienza piacevole del sesso e un odore», spiega. «I ratti, come gli umani, provano desiderio sessuale, eccitazione, orgasmo. Per misurare il desiderio addestriamo un ratto ad attendere una partner in una scatola: mentre la aspetta, la sua attività aumenta. L’eccitazione si può misurare dal flusso di sangue ai genitali. Ci sono poi precisi comportamenti: la femmina salta attorno al maschio e muove le orecchie».

Per sapere cosa provano, però, dovremmo chiedere a loro. E non possiamo. «Ma abbiamo osservato che durante il sesso – per esempio quando due femmine si strofinano i genitali – fanno una caratteristica espressione facciale, come una risata a denti scoperti, spesso accompagnata da una tipica vocalizzazione: si pensa siano una indicazione di piacere, se non di orgasmo. Perché altrimenti farebbero sesso? Il vantaggio immediato potrebbe essere proprio il piacere. Possiamo ipotizzare che gli individui a cui piaceva fare sesso abbiano stretto più alleanze, si siano riprodotti di più e il carattere si sia così diffuso nella popolazione», continua Palagi, che in uno studio ha evidenziato l’importanza degli sguardi e delle espressioni facciali. «Nel sesso, faccia a faccia, si guardano negli occhi e replicano l’espressione facciale dell’altro: più lo scambio di sguardi si prolunga, più dura il rapporto».

L’INTERRUTTORE NEL CERVELLO. Ma cosa scatta nel cervello degli animali per “motivarli” al sesso e nell’accoppiamento? «Non si riesce a convincere due bonobo a fare sesso in una macchina per la risonanza magnetica funzionale, come per l’uomo», scherza Palagi. Ma sappiamo, dice Quintana Zunino, che «i segnali viaggiano dai sensi attraverso i nervi e il midollo spinale. Queste connessioni raggiungono aree del cervello che controllano gli organi e orchestrano un gioco di eccitazione e inibizione. Sistemi come quello della ricompensa sono attivati attraverso l’attività dei neuroni che rilasciano dopamina.

Sono quasi le stesse reazioni che vediamo negli umani».

Sempre nei topi è stato identificato uno snodo del desiderio maschile: la trasformazione, nel cervello, del testosterone in estrogeno grazie all’azione di un enzima, l’aromatasi. I topi ingegnerizzati per essere privi di aromatasi erano molto meno interessati al sesso. «Molti ormoni sono implicati nella risposta sessuale degli animali: come l’ossitocina, che facilita il comportamento sessuale ed è legata alla formazione del legame», aggiunge Quintana Zunino. Per esempio, nelle femmine di topo un piccolo gruppo di neuroni risponde all’ossitocina e modula il comportamento nell’estro, rendendo le femmine interessate ad avvicinarsi ai maschi.

ALLA RICERCA DEL PARTNER. Va però fatto un passo indietro. Per arrivare al sesso bisogna trovare un partner. E nel momento giusto. La natura quindi ha elaborato varie strategie. «Che sfruttano i canali sensoriali esistenti, determinati dall’ecologia. Gli uccelli, in gran parte diurni, usano segnali visivi. Negli insetti, adattati a individuare gli odori delle piante nell’ambiente, domina l’olfatto», spiega Pilastro. Un insetto maschio può seguire per chilometri la scia di feromoni, le sostanze usate come messaggi chimici, di una femmina. Ma queste sostanze “richiamano” anche i mammiferi. I maschi di giraffa leccano l’urina delle femmine per individuare i feromoni emessi quando sono disponibili ad accoppiarsi.

LE DUE STRATEGIE: MENARSI O… Infine, il grande problema: la conquista del partner. I maschi hanno due strategie. La prima è menarsi. «Adottata da mammiferi come i cervi e da rettili come i coccodrilli, che si sfidano per controllare un tratto di fiume e accoppiarsi con le femmine che lì si trovano. Conta sia l’essere più grosso, sia la spinta ormonale: il testosterone è legato all’aggressività. Nelle lucertole muraiole per esempio rende più colorati, più aggressivi e pronti a presidiare il territorio», dice Ficetola. Chi vince si accoppia. E migliora la specie? «È quello che pensava Darwin: i maschi più forti hanno geni migliori», puntualizza Pilastro. «In realtà i caratteri di chi vince si diffondono, ma non per forza c’è un vantaggio generale. Quei geni che danno più muscoli o più ormoni maschili sono ottimi per i figli, ma magari rendono le figlie meno fertili».

…. O FARSI PIÙ BELLO. La seconda strategia è mettersi in mostra con colori e canti per essere scelti da una femmina che cerca il compagno più adatto.

«Molti di questi tratti sono “segnali onesti” delle risorse, sia interne (un maschio sano) sia esterne (un buon territorio)», spiega Pilastro. Pensiamo ai colori di vari uccelli maschi. Dal pavone al cardinale rosso, in cui il piumaggio scarlatto è ottenuto con i carotenoidi assunti con la dieta. «Solo un maschio ben nutrito ne ha abbastanza per avere un piumaggio sgargiante. Il forapaglie invece “sfoggia” un canto elaborato, le cui frequenze e complessità sono legate alla ricchezza del suo territorio», conclude Pilastro. «E nei guppy, pesci americani, i maschi hanno macchie arancioni simili a frutti che cadono in acqua. Che le femmine notano». In natura, le sfumature sono ben più di cinquanta.

 La seconda strategia è mettersi in mostra con colori e canti per essere scelti da una femmina che cerca il compagno più adatto. «Molti di questi tratti sono “segnali onesti” delle risorse, sia interne (un maschio sano) sia esterne (un buon territorio)», spiega Pilastro.

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La medicina per allungare la vita ai cani grossi: funzionerà?

I cani di grossa taglia vivono meno di quelli piccoli: una compagnia statunitense sostiene di avere un modo per invertire questa tendenza.

cani grossi vivono meno dei cani piccoli. È una regola (circa) infallibile, e che nei casi più estremi può raggiungere proporzioni altrettanto esagerate, se pensate per esempio che un alano vive dai sei agli otto anni mentre un Chihuahua può arrivare a 20. C’è però una compagnia di biotecnologie con sede a San Francisco che si chiama Loyal to Dogs e che sostiene di aver trovato una soluzione medica a questo problema: un trattamento mirato ad abbassare, nei cani di grossa taglia, il livello di un certo ormone che è legato alla crescita ma, dicono gli esperti di Loyal, anche all’aspettativa di vita. Il farmaco non è ancora in commercio, ma l’FDA (l’ente americano che si occupa tra l’altro di fornire le autorizzazioni a mettere sul mercato un prodotto) ha di recente annunciato che ci sono “ragionevoli aspettative che funzioni”, e ha dato il via libera a ulteriori sperimentazioni.

CONTROLLO ORMONALE. Come detto, il farmaco si basa su un ormone, o meglio sulla sua assenza: si chiama IGF-1 ed  è legato alla crescita e al metabolismo – i cani di grossa taglia ne hanno una concentrazione maggiore, quelli piccoli minore. L’ormone non è presente solo nei cani: in vermi, mosche e roditori, per esempio, la sua inibizione porta a un aumento dell’aspettativa di vita; per noi umani, invece, concentrazioni troppo alte o troppo basse sono direttamente collegate a un aumento della mortalità, e l’ideale è quando IGF-1 è presente in concentrazioni medie. Il trattamento in fase di  sviluppo da parte di Loyal prevede una serie di iniezioni, su base trimestrale o semestrale, con una sostanza che abbassa il  livello di IGF-1.

SPERANZE E DUBBI. Finora, i primi test hanno coinvolto 130 cani di grossa taglia, nei quali Loyal è riuscita a ridurre il livello di IGF-1 fino ai valori tipici di un cane di media taglia, e senza troppi effetti collaterali (a parte due esemplari che hanno sofferto di diarrea per un paio di giorni). Nel 2024 dovrebbe partire uno studio su numeri più importanti (almeno 1.000 esemplari), con l’obiettivo di mettere in commercio il farmaco nel 2026. Non tutti comunque sono convinti dell’efficacia del trattamento, principalmente perché non è detto che la crescita dei cani sia legata solo a un singolo ormone, come dimostra per esempio questo studio di un mese fa che identifica un altro possibile fattore, il gene ERBB4. I prossimi anni ci diranno chi ha ragione.

Gabriele Ferrari

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Cosa accadrebbe se tutti gli animali sulla Terra diventassero erbivori? La risposta inaspettata

Simona Contaldi

Vi siete mai chiesti cosa potrebbe succede se sul nostro pianeta tutti gli animali diventassero erbivori? Proviamo a scoprirlo insieme 

catena alimentare
Cosa diventerebbe il mondo – ecoo.it

Vi siete mai chiesti come potrebbe essere la nostra vita e il nostro pianeta se tutti gli animali fossero erbivori?

Proviamo a darci insieme una risposta e soprattutto a immaginare come potrebbe essere. 

Cosa succederebbe se gli animali fossero tutti erbivori

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Cosa diventerebbe il mondo – ecoo.it

Potrebbe sembrare senza dubbio una domanda utopica e irrealistica, eppure non per questo non possiamo provare a darle una risposta. E soprattutto, non è detto che non possiamo giocare un po’ a immaginare cosa sarebbero se nel nostro pianeta tutti gli animali fossero erbivori. In particolari, a porsi questa domanda è stata proprio una bambina di nove anni, con tutta l’innocenza e la curiosità che rappresenta la sua età. Quello che non si sarebbe aspettata è di aver non solo ottenuto una risposta, ma di averla ricevuta da un ricercatore della Edith Cowan University: ma cosa è emerso da questa possibile risposta?

Come ben sappiamo, gli animali possono essere distinti in varie categorie: gli erbivori, i carnivori e gli onnivori, per quanto riguarda questi ultimi non è detto che tutti possano adottatore una dieta priva di carne come ad esempio i felini che mal digeriscono le piante e necessitano anzi i principi nutrivi di una dieta carnivora. Partendo da questo presupposto, dunque, se tutti gli animali fossero erbivori, allora potremmo immaginare molte meno specie sul nostro pianeta e inoltre si avrebbero delle conseguenze non irrilevanti sulla nostra catena alimentare.

Animali erbivori e carnivori, una riflessione

Insomma, come possiamo facilmente immaginare, la possibilità di rendere tutti gli animali erbivori non è in alcun modo contemplabile. Il motivo è, come abbiamo appena visto, molto semplice: a differenza ad esempio dell’essere umano (che ha tante valide alternative al consumo di carne), per tantissime specie animali purtroppo non è possibile in alcun modo rinunciare a quelle specifiche proteine. Questo, per tanto, si potrebbe tradurre in una scomparsa definitiva di tutte quelle specie di predatori che si servono proprio di una dieta carnivora.

Di conseguenza, dunque, potremmo anche immaginare una seconda conseguenza: eliminando le specie di animali predatori, infatti, potremmo anche andare incontro a un maggiore ampliamento delle aree che sono dominate dagli animali invece erbivori (e che sono spesso costretti alla fuga e una minore dominazione dei terreni). Tuttavia, ancora una volta non ci sentiamo di affermare che questa potrebbe essere un’idea del tutto positiva per il nostro ambiente perché a lungo andare si potrebbe generare un danneggiamento delle aree verdi che circondano il nostro pianeta. Basti pensare, ad esempio, alla proliferazione dei cervi nel parco di Yellowstone, che hanno generato un indebolimento dell’erba e degli argini.

Per finire, è opportuno concludere con un’ultima riflessione: ovvero su quale impatto questo ad esempio potrebbe avere sulla nostra vita e dunque sulla catena alimentare degli essere umani. A differenza di tanti altri animali, che non posseggono gli strumenti o le possibilità necessarie per poter cambiare all’occorrenza la propria alimentazione, non si può dire lo stesso invece per noi. Per quanto riguarda le possibilità dell’essere umano, infatti, sappiamo che sempre di più si stanno cercando delle vie alternative e soprattutto altrettanto valide per poter sopperire alla mancanza di carne in una prospettiva più ambientalista e sostenibile. 

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Gli animali e il freddo estremo | Sapete che c’è chi può sopravvivere a -50°C?

Di

 Paolo Pontremolesi

 

A differenza di noi esseri umani, alcuni animali sanno perfettamente come proteggersi dal freddo estremo con l’aiuto del proprio corpo.

Il freddo sta pian piano arrivando, anche se quest’anno si sta facendo attendere. Con l’avvicinarsi di dicembre, mese in cui l’inverno inizierà ufficialmente, le temperature stanno calando sempre di più e molte persone scelgono di rinchiudersi in casa e aspettare il primo spiraglio di sole per uscire.

Gli esseri umani non sono naturalmente predisposti per vivere al freddo, anche se alcune popolazioni ci dimostrano una grande capacità di adattamento: gli abitanti della Siberia orientale, in Russia, passano gran parte dell’inverno con temperature che raggiungono i 50° sotto zero. Discorso diverso per gli animali: alcuni di loro si trovano perfettamente a proprio agio con queste temperature.

Un corpo progettato per rimanere al caldo

È il caso della volpe artica, che con il suo splendido mantello bianco invernale è perfettamente equipaggiata per affrontare i climi rigidi. La conformazioni fisica di questo animale sembra progettata esattamente per far fronte a questo tipo di condizioni climatiche: il mantello fornisce isolamento termico, i peli sui cuscinetti delle zampe impediscono loro di scivolare sul ghiaccio e possono arricciare le loro folte code intorno al naso e al viso per tenerli al caldo. Inoltre, il pelo bianco funge da mimetismo per aiutarli a nascondersi dalle loro prede.

il pinguino imperatore è un animale che sa combattere il freddo estremo
I pinguini imperatore si raggruppano e rimangono vicini per combattere il freddo – velvetpets.it

Discorso simile vale per gli orsi polari. Per trattenere il calore, hanno uno spesso strato di pelo, uno strato di grasso isolante di 10 cm e orecchie molto piccole. Il naso nero e i cuscinetti delle zampe sono in grado di assorbire il calore del sole per tenerli al caldo.

Il loro corpo è così predisposto per trattenere il calore che per evitare il surriscaldamento si muovono lentamente e riposano spesso. Hanno anche zampe larghe adatte per nuotare e artigli per catturare prede e scavare tane nella neve.

Quando si pensa agli animali che vivono in climi estremi, impossibile non pensare ai pinguini. Tra quelli che meglio sanno affrontare il freddo ci sono i pinguini imperatore, che hanno un modo di tenersi al caldo molto particolare e che denota una notevole intelligenza: si raggruppano per tenersi al caldo e per proteggersi dai predatori.

E l’elenco è ancora abbastanza lungo: c’è ad esempio il bue muschiato del Nord America che per trattenere il calore ha due strati di pelo diverso, uno corto e uno lungo, ed è dotato di zoccoli grandi e duri per rompere il ghiaccio e trovare acqua da bere.

Come dimenticare, infine, le renne che vivono nell’area intorno al Circolo Polare Artico. In questa zona le temperature invernali si avvicinano a 70° sotto lo zero e, per sopravvivere a questo freddo estremo, le renne hanno un pelo extra-isolante, che copre tutto il loro corpo, dalle punte del naso alla base delle zampe. L’unica parte esterna delle renne non coperta di pelo sono gli occhi.

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