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Laika fu vittima della crudeltà umana

Il 3 novembre del 1957 la piccola Laika fu imbarcata a bordo della capsula spaziale sovieticaSputnik 2 diventando così il primo animale ad orbitare intorno alla Terra nonché il primo essere vivente ad essere mandato nello spazio.

Laika aveva 3 anni, il suo nome reale era Kudryavka (in italiano “Ricciolina”), mentre il nome con cui è nota in Occidente deriva da un possibile fraintendimento tra i giornalisti occidentali ed i responsabili della missione, che, facendo riferimento alla razza del cane, indicarono la cagnolina come Laika (nome russo per varie razze di cane simili agli husky). La stampa statunitense la soprannominò Muttnik, unendo il termine inglese per meticcio e la parola Sputnik. 

La capsula Sputnik 2 era attrezzata per il supporto vitale e portava cibo e acqua, ma non prevedeva il rientro, quindi la sorte di Laika era segnata fin dall’inizio della missione. La capsula era inoltre attrezzata con sensori tali da permettere il monitoraggio dei segnali vitali del passeggero come pressione sanguignabattiti cardiaci e frequenza respiratoria.

Dopo il successo dello Sputnik 1 fu subito chiaro che al lancio del primo satellite ne sarebbero subito seguiti altri e si ritenne indispensabile lanciare a breve termine anche degli esseri umani nello spazio. All’epoca erano in via di completamento due satelliti del tipo Sputnik, tuttavia nemmeno uno sarebbe stato pronto prima del 7 novembre 1957: il progetto iniziale di lanciare uno di questi con un essere vivente a bordo il giorno del quarantesimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre sarebbe fallito. Si decise pertanto di avviare la costruzione di un quarto satellite meno sofisticato che secondo i piani sarebbe stato pronto e lanciato entro il 7 novembre.

Per quanto riguarda la scelta di Laika, invece, ben poco è stato reso noto. Ancor oggi non si sa quali considerazioni abbiano spinto alla decisione di utilizzare un cane come primo passeggero a bordo di un satellite, anche se è intuibile che le dimensioni ridotte dell’animale possano aver giocato un ruolo fondamentale nella scelta. I cani erano gli animali scelti nell’ambito del programma spaziale sovietico.

Secondo la versione ufficiale, la cagnetta Laika era un cane randagio trovato a Mosca, che all’epoca doveva avere all’incirca tre anni. I reclutatori di cani sovietici iniziarono la loro ricerca con un branco di cani randagi femmine perché le femmine erano più piccole e apparentemente più docili. I primi test determinarono l’obbedienza e la passività. Sempre secondo la stessa versione Laika sarebbe stata un cane meticcio, per metà Husky e per metà Terrier, anche se non poté mai essere stabilita con certezza la razza dei suoi genitori. Per quanto riguarda invece il metodo di selezione e i criteri con i quali si sia deciso di utilizzare proprio lei, non si ebbe mai nessuna dichiarazione ufficiale.

Per le missioni Sputnik si selezionarono in tutto tre cani: Albina, Muschka e Laika. Albina fu la prima ad assolvere un volo suborbitale e sarebbe stata usata in caso di necessità come sostituta di Laika, mentre Mushka venne usata per testare i sistemi vitali della capsula. Tutte e tre le cagnette furono sottoposte a un allenamento intensivo che venne diretto da Oleg Gazenko, colui che aveva scelto Laika come la predestinata al primo volo spaziale ed era responsabile del programma.

Durante la fase di addestramento gli animali venivano abituati a spazi angusti e rimanevano anche per 20 giorni consecutivi in gabbie strettissime. Ciò fece sì che gli animali soffrissero notevolmente sotto un punto di vista psicologico e fisiologico, tanto che Laika cominciò a divenire sempre più irrequieta e per un certo periodo l’addestramento dovette essere sospeso. In una seconda fase gli animali, ma soprattutto Laika, vennero sottoposti a simulazioni di lancio in centrifughe, all’interno delle quali si riproducevano le vibrazioni e i rumori che avrebbero poi caratterizzato il lancio. Durante queste simulazioni si misurarono pressioni del sangue fino a 65 mmHg e un polso che batteva con frequenza quasi doppia. Infine secondo una versione non ufficiale la cagnetta sarebbe già stata messa a bordo del satellite tre giorni prima del lancio. Durante questo periodo l’animale sarebbe stato accudito da due tecnici che avrebbero garantito il suo benessere.

Viste le basse temperature della stagione, la capsula sarebbe stata collegata con un impianto di riscaldamento, che avrebbe mantenuto una temperatura costante all’interno della capsula. Infine, prima del lancio, degli elettrodi sarebbero stati fissati sul corpo dell’animale per trasmettere alla centrale di controllo, i segnali vitali, quali polso, pressione e respirazione. In tutto la capsula pesava 500 kg, ai quali si dovevano aggiungere i sei chilogrammi di peso dell’animale. L’interno del satellite era foderato e lo spazio interno era sufficientemente ampio da permettere a Laika di stare sdraiata o in piedi. La temperatura interna era regolata sui 15 °C e un sistema di condizionamento doveva proteggere l’animale da sbalzi termici eccessivi. A bordo si trovavano quindi ancora cibo e acqua preparati sotto forma di gel.

Il razzo con a bordo Laika venne lanciato il 3 novembre 1957 alle 2:30 dal Cosmodromo di Bajkonur. I dati telemetrici di Laika, inviati dal satellite, rivelarono un polso notevolmente accelerato e si dovette aspettare che la forza di gravità incominciasse a ridursi per notare una diminuzione della frequenza cardiaca. Secondo quanto rivelato da fonti ufficiali, si ricevette per solo sette ore un segnale di vita dalla capsula. La versione ufficiale dell’epoca fornita dal governo sovietico, affermava che Laika sopravvisse per “oltre quattro giorni”. 

Il satellite rientrò in atmosfera 5 mesi più tardi, il 14 aprile 1958, dopo aver compiuto 2.570 giri intorno alla Terra. Un eventuale rientro in orbita terrestre non era possibile dal momento che la capsula non era in grado di rientrare in atmosfera, perché sprovvista di uno scudo termico: il satellite andò così completamente distrutto durante il rientro e, con esso, il corpo di Laika.

Il lancio rappresentò un successo dal punto di vista tecnico, considerando sia le conoscenze tecniche dell’epoca sia il poco tempo messo a disposizione ai progettisti per la costruzione della capsula. La missione di Laika non fu però l’ultima: dopo di lei altri cani furono lanciati nello spazio a bordo di satelliti, e il 20 agosto 1960 le cagnoline Belka e Strelka furono le prime a rientrare sane e salve a terra da una missione spaziale a bordo del satellite Sputnik 5.

Fin qui la cronaca di ció che accadde alla piccola Laika quel lontano 3 novembre di molti anni fa.

All’epoca ero una bambina, ma ricordo perfettamente ciò che accadde e anche il grande dolore che provai quando fu sicuro che la piccola Laika non sarebbe mai tornata.

Laika assomigliava al mio piccolo Leone, anche lui un meticcio, arrivato in casa nostra per caso è rimasto nel mio cuore per sempre.

Forse Laika e Leone ora sono insieme e ci guardano da quel cielo stellato che l’uomo vuole conquistare a tutti i costi, anche sacrificando alle sue mire, esseri viventi innocenti e inconsapevoli.

Manuela Valletti

Il Paradosso del Cancro negli Animali: Le Sorprendenti Scoperte della Scienza

Studio rivela strategie uniche di difesa e suscettibilità in diverse specie animali

Il cancro non risparmia nessuna specie animale, ma ancora molti aspetti rimangono sconosciuti. Quali sono gli animali più suscettibili e perché? Questo è il cuore del paradosso di Peto, che si basa sull’idea che gli animali di grandi dimensioni e longevi dovrebbero essere più a rischio di sviluppare il cancro. Tuttavia, la realtà sembra contraddire questa teoria. Ad esempio, la balena blu, l’animale più grande del pianeta, raramente sviluppa tumori, mentre per gli esseri umani il cancro è una piaga diffusa.

Recenti studi condotti da Carlo Maley e il suo team hanno analizzato oltre 16.000 casi di necroscopia in 292 specie di vertebrati per comprendere meglio la diffusione del cancro nel regno animale. I risultati hanno rivelato che, sebbene la prevalenza del cancro aumenti con le dimensioni del corpo, non esiste una correlazione diretta. Inoltre, sembra che gli animali con tempi di gestazione più lunghi abbiano tassi di cancro più bassi, suggerendo che esistano meccanismi di difesa evoluti negli animali di dimensioni maggiori.

Ad esempio, gli elefanti possiedono 20 copie del gene soppressore dei tumori P53, il che potrebbe spiegare la loro bassa incidenza di cancro nonostante le loro imponenti dimensioni. Ogni specie ha sviluppato strategie uniche per difendersi dal cancro, il che spiega la varietà di tassi di cancro e di sopravvivenza tra i vertebrati.

Alcune specie sembrano essere più suscettibili al cancro rispetto ad altre. Furetti, opossum e ricci a quattro dita presentano tassi di cancro insolitamente alti, mentre il pinguino dai piedi neri, il comune porpoise e il pipistrello della frutta di Rodrigues hanno tassi di cancro estremamente bassi. I mammiferi mostrano generalmente i tassi più alti di tumori, seguiti dai rettili, dagli uccelli e dagli anfibi.

Questo studio ha evidenziato che il cancro è una realtà per tutti gli organismi pluricellulari e che nessuno è completamente immune. Approfondendo la nostra conoscenza sul cancro in altre specie, potremmo trovare nuove strategie per combatterlo anche negli esseri umani. L’obiettivo è sfruttare le lezioni della natura per prevenire e combattere il cancro, come spiegato da Zach Compton, coautore dello studio pubblicato su Cancer Discovery.

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Il raffreddore nel cane e nel gatto

Raffreddore ed influenza fanno ammalare le persone, ma possono far ammalare anche cani e gatti. I virus che infettano gli umani sono diversi da quelli che infettano i cani e i gatti, ma i sintomi sono fondamentalmente gli stessi: starnuti, tosse, naso che cola, occhi acquosi.

I nostri amici cani possono prendere “l‘influenza canina” che, non solo li fa sentire male, ma può essere pericolosa per loro. Fortunatamente la maggior parte degli animali domestici non contraggono mai l’influenza, poiché è associata principalmente a strutture affollate che ospitano molti cani, come canili e rifugi per animali.  Tuttavia non bisogna sottovalutare se trascorrono del tempo in un posto con numerosi cani, come giardinetti, mostre canine o corsi di addestramento. Poiché è una malattia respiratoria altamente contagiosa, il cane non ha nemmeno bisogno di entrare in contatto diretto con un cane infetto. Il virus può vivere sugli oggetti, come sulle ciotole d’acqua o sui giocattoli.

I cani con influenza canina di solito mostrano sintomi entro quattro o dieci giorni. I sintomi sono una tosse persistente che dura da dieci a trenta giorni, vomito come se cercassero di staccare qualcosa dalla gola.

Se avete il sospetto che il cane abbia contratto l’influenza canina, sarà necessario portarlo dal veterinario al più presto.Ci sono misure necessarie da adottare per garantire che anche altri animali domestici non si ammalino. I cani con influenza canina dovrebbero essere isolati per impedire la trasmissione del virus ad altri cani.

Raffreddore nel Cane e nel Gatto

Il raffreddore negli animali domestici può essere trasmesso da un animale all’altro. Nei gatti bisogna saper distinguere un comune raffreddore da una forma influenzale più importante, generata da virus o batteri, come nel caso dell’influenza felina o della rinotracheite, due malattie infettive che comportano conseguenze preoccupanti per la loro salute. Esiste anche la possibilità che il raffreddore sia dovuto all’herpes, Calicivirus o Clamydia.

Poiché il virus non abbandona mai l’organismo ma rimane sempre in forma latente e si manifesta quando le difese immunitarie si abbassano, occorre rafforzare il loro sistema immunitario.

Nei cani il raffreddore si manifesta con naso chiuso, che cola, catarro, febbre, difficoltà respiratoria e affaticamento. Visto che il naso è il più interessato, e l’olfatto per i cani è molto importante per l’orientamento, bisogna prendere subito provvedimenti.

I sintomi del raffreddore non vanno mai trascurati, poiché il rischio è che si possa degenerare in tosse, bronchite o tracheite. Nel caso di cuccioli e anziani l’attenzione dev’essere ancora più alta, in quanto il loro sistema immunitario è più debole.

Tosse nel Cane e nel Gatto

cane con tosse

La tosse nel cane e nel gatto è un sintomo e non una malattia, che può però indicare dei problemi di salute. La tosse può essere determinata da diverse cause come un’irritazione delle vie respiratorie, infiammazione o infezione, tonsillite, bronchite, polmonite, cardiopatie, neoplasie, parassiti interni, oppure inalazione di corpi estranei.

La tosse nei cani è prevalentemente una complicazione delle vie respiratorie superiori. La causa è in genere una combinazione di batteri e virus che infettano e irritano il rivestimento sensibile delle vie aeree, tra cui la trachea e i bronchi. La tosse canina è molto contagiosa. Per fortuna, i casi di pericolo di vita sono rari.

La tosse può essere accompagnata da una scarica nasale acquosa. La maggior parte dei cani contagiati conserva una normale temperatura corporea, l’appetito e la vigilanza. I cani in condizioni più gravi diventeranno letargici, avranno febbre, svilupperanno la perdita dell’appetito.

Nel gatto la tosse è generalmente secca. Si possono riscontrare altri sintomi come il naso gocciolante e/o occhi infiammati e la febbre. Se i sintomi persistono per più di 24 ore, il vostro gatto ha bisogno di cure mediche.

La causa più comune della tosse felina è la bronchite cronica (anche detta tosse felina o asma felina). Questa condizione è caratterizzata da improvvisi attacchi di tosse che spesso provocano espulsione di muco.

Parente della tosse felina è la Bordatella, un’infezione delle alte vie respiratorie nei gatti che colpisce in maniera grave i cuccioli. Altre cause della tosse felina sono le palle di pelo e la patologia spesso devastante dei parassiti o vermi intestinali.

Un’elevata predisposizione alle infezioni è un segno tipico di un sistema immunitario indebolito e di una condizione di salute non ottimale, quindi è indispensabile mantenere il sistema immunitario equilibrato e funzionante.

Per mantenere il sistema immunitario del cane e del gatto in condizioni ottimali è fondamentale nutrirli con una dieta equilibrata, con cibo di alta qualità, senza additivi e allergeni. È consigliabile farli bere molta acqua, per mantenerli idratati, evitare l’uso eccessivo di farmaci, anti-parassiti chimici e disinfettanti, ridurre le tossine ambientali a cui viene esposto l’animale.

È possibile affidarsi alla Natura, infatti esistono erbe utili che aiutano a sostenere il sistema immunitario. Con un corretto trattamento a base di erbe il potere di guarigione naturale del sistema immunitario dell’animale domestico viene riportato in equilibrio, gli agenti infettivi vengono sconfitti e la salute viene ripristinata.

Rimedi Naturali per la Tosse del Cane e del Gatto

I rimedi naturali per la tosse nel cane e nel gatto possono aiutare ad alleviare questo fastidioso disturbo. I rimedi naturali come le erbe medicinali sono i più indicati, perché sono senza sostanze chimiche. Eccovi quelli più indicati per la tosse:

Echinacea: la radice di Echinacea purpurea è uno dei rimedi principali per aiutare il corpo a liberarsi di infezioni microbiche, sia batteriche che virali (1). Le radici di questo fiore sono particolarmente efficaci contro le infezioni del tratto respiratorio superiore.

Tossilaggine:  ha un effetto calmante ed espettorante con un’azione antispasmodica (2). La Tossilagine è stata utilizzata in tutto il mondo per migliaia di anni per attenuare la tremenda tosse secca e la bronchite cronica o acuta. Inoltre stimola la fagocitosi, il processo di distruzione delle cellule morte ed estranee.

Altea: è un ottimo emolliente che lenisce le mucose infiammate o irritate. Moderni studi clinici hanno documentato l’attività antimicrobica (3). Inoltre l’Altea è ricca di mucopolisaccaridi che stimolano leggermente il sistema immunitario.

Verbasco: riduce l’infiammazione e stimola la produzione di liquidi in modo da facilitare l’espettorazione. Il Verbasco è indicato in maniera specifica per la bronchite caratterizzata da una forte tosse con indolenzimento (4). L’infiammazione della trachea e le condizioni associate sono lenite dalle sue proprietà antinfiammatorie e calmanti.

Questo articolo è stato pubblicato  da Matea.

Animali selvatici : diminuiti del 73% in 50 anni

Per il WWF siamo al punto di non ritorno

Oggi inizia la Cop16, la conferenza sulla biodiversità delle Nazioni Unite, a Cali, in Colombia. Cogliamo l’occasione per raccontare i risultati contenuti nel Rapporto 2024 del WWF “Living Planet Report”, pubblicato da poco. Il rapporto sottolinea l’importanza delle decisioni che verranno prese nei prossimi cinque anni per affrontare sia la crisi della natura che quella climatica, poiché il degrado degli ecosistemi in tutto il mondo pone una grave minaccia all’umanità tutta

Ogni due anni il report “Living Planet Report” curato dal WWF riporta dati e trend aggiornati sullo stato di conservazione della biodiversità e degli ecosistemi, fornendo una panoramica scientifica chiara sullo stato di salute del pianeta, e delle relative problematiche e soluzioni. Il Report include il Living Planet Index (LPI), gestito dalla Società zoologica di Londra (in inglese: Zoological Society of London – ZSL) in collaborazione con il WWF.

In questa edizione, resa pubblica pochi giorni fa, la parola “catastrofico” regna sovrana: in 50 anni la dimensione media delle popolazioni globali di animali selvatici è calata del 73%. Ma cosa vogliono dire questi numeri e come vengono calcolati?

I ricercatori raccolgono ogni anno dati sulla variazione del numero di animali selvatici riguardanti decine di migliaia di popolazioni. Nonostante i dati siano misurati rispetto all’anno 1970, le popolazioni i cui dati risalgono a più di cinquant’anni fa sono pochissime, e per questo molti dati sono stati raccolti in tempi più recenti. Per ogni popolazione viene calcolata la variazione numerica nel tempo – indipendentemente dalle dimensioni delle popolazioni – la quale fornisce il tasso di cambiamento che può essere positivo, negativo o zero. Per ottenere il numero Lpi finale, i ricercatori prendono la media geometrica del tasso di cambiamento in tutte queste popolazioni permettendo di tracciare i cambiamenti nell’abbondanza delle popolazioni di fauna selvatica.

Il Living Planet Index è stato calcolato sulla base dei trend demografici di quasi 35.000 popolazioni e di 5.495 specie di uccelli, mammiferi, rettili, anfibi e pesci. I risultati del 2024 mostrano che tra il 1970 e il 2020 vi è stata una diminuzione del 73% (intervallo 67% – 78%), che corrisponde a un calo del 2.6% all’anno. Tutto ciò significa che negli ultimi cinquant’anni la dimensione delle popolazioni di animali selvatici monitorate si è ridotta in media di quasi tre quarti.

Seguendo la divisione per regioni Ipbies, sono stati poi calcolati i Living Planet Index per ogni regione per mostrare le diverse tendenze dello stato di conservazione della natura. Le regioni con il tasso di cambiamento più negativo sono America Latina e Caraibi (95%), seguita da Africa (76%), Asia e Pacifico (60%), Nord America (39%) ed Europa e Asia Centrale (35%). Tutta via è necessario e doveroso ricordare che lo sfruttamento e deterioramento degli ecosistemi in alcune regioni è determinato dallo sfruttamento delle stesse da parte di altre regioni. La regione Ipbes Europa e Asia centrale risulta essere quella con la più alta impronta ecologica di consumo tra tutte le regioni, e non essendo più in grado di sostenersi attraverso le proprie risorse è diventata dipendente dalle risorse naturali delle altre regioni.

Le tendenze del Living Planet Index variano da una regione all’altra come anche le minacce e le pressioni esercitate dalle attività umane, che sono principalmente sei:

  • Perdita e/o degrado ambientale, causata da attività umane quali deforestazione, agricoltura intensiva, trasporti, attività minerarie e sviluppo commerciale o residenziale
  • Sovrasfruttamento, come bracconaggio e prelievo non sostenibile della fauna selvatica per fini commerciali, oppure catture accidentali di specie non target come accade nella pesca attraverso il bycatch.
  • Cambiamento climatico, i cui effetti stanno già alternando gli ecosistemi e il loro funzionamento, alterando i segnali ambientali che innescano eventi stagionali quali la riproduzione e la migrazione.
  • Inquinamento, si può presentare in diverse forme, dai disastri ambientali dovuti a sversamenti di petrolio ad altre fonti quali inquinamento luminoso e acustico.
  • Specie invasive, possono competere direttamente con le specie autoctone per le risorse alimentari o habitat, oppure diventarne i predatori.
  • Patologie, a causa della diminuzione dell’habitat e l’aumento della presenza umana e di animali domestici in zone una volta remote e isolate gli animali selvatici possono venire in contato con patogeni che non erano precedentemente presenti nell’ambiente.

Il Living Planet Index è un indicatore di valore inestimabile, utilizzato da chi si occupa della conservazione della fauna selvatica e chi la natura la tutela attraverso le policy, per comprendere lo stato di salute e conservazione del nostro pianeta al fine di guidare le azioni di tutela. La perdita e il degrado di habitat e biodiversità possono, superata una certa soglia, incidere sulla funzionalità degli ecosistemi, determinando un cambiamento di equilibri potenzialmente irreversibile. Questo effetto è stato tradotto con “punto critico di non ritorno” dall’inglese tipping point. Il punto critico di non ritorno avviene a più scale, ovvero locale, regionale e infine globale. Alcuni esempi li abbiamo letti sui giornali, come gli incendi incontrollati della costa europea del Mediterraneo, lo sbiancamento della Barriera Corallina e le invasioni dei parassiti a seguito di eventi climatici estremi come la tempesta Vaia. Questi non sono più soltanto campanelli d’allarme, ma segnali chiari ed evidenti di come non possiamo più permetterci di gestire le nostre attività umane come abbiamo fatto fino ad oggi.

Il crollo della biodiversità e del funzionamento degli ecosistemi riguarda tutte le persone, nessuna esclusa. Il quarto capitolo del report illustra una serie di soluzioni sostenibili che mettono la natura al centro, descrivendo dettagliatamente le Nature Based Solution (Soluzioni Basate sulla Natura), strumento necessario e fondamentale per affrontare la crisi climatica, la riduzione del rischio di catastrofi dovute ad eventi climatici estremi, questioni sociali e per ultimo, ma non meno importante, la salute umana che passa dalla sicurezza idrica e alimentare.

A breve si terrà a Cali, in Colombia, la Cop16 sulla biodiversità (che inizia oggi e termina il 1 novembre), seguita dalla Cop29 sul clima a Baku in Azerbaigian (11-22 novembre), due momenti in cui persone e politici da tutto il mondo dialogheranno su questi due temi che non dovrebbero più essere gestiti separatamente. La crisi climatica e la perdita di biodiversità hanno due destini intrecciati, e l’aumento di uno influirà sempre sull’altro, portando noi esseri umani a fare i conti con il degrado degli ecosistemi e la diminuzione di tutti quei servizi che la natura ci provvede gratuitamente che sono fondamentali per la nostra sopravvivenza. Per questo motivo, le decisioni che verranno prese nei prossimi cinque anni per affrontare la perdita di biodiversità e la crisi climatica segneranno il punto di non ritorno dell’umanità.

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L’uomo e altri animali bugiardi

diFederica Sgorbissa

«L’intelligenza sembra andare a braccetto con la capacità di raccontare e di mentire. E questo braccetto è la socialità. Significa che non c’è nulla di così diverso o speciale in noi esseri umani? Forse no. La ricerca scientifica sulla cognizione animale negli ultimi decenni ha abbattuto un bel po’ di pregiudizi, mostrando come la nostra intelligenza sia diversa da quella di altri animali quantitativamente più che qualitativamente. Abbiamo trovato esempi di animali che più o meno fanno quasi tutte le cose che facciamo noi, almeno in maniera rudimentale. Perfino mentire»

Da bambina ero in fissa con Pippi Calzelunghe. La adoravo ma mi irritava perché non riuscivo a decidere se la mia eroina fosse una geniale inventrice di storie o una bugiarda patologica. Oggi, quel dubbio mi sembra un po’ ingenuo. Non sono né la prima né la più titolata fra coloro che credono che bugia e narrazione siano due facce della stessa medaglia, se non addirittura la stessa cosa. Si tratta in effetti di un tema piuttosto esplorato in ambito letterario, prima e dopo il bambino che gridava «al lupo al lupo» di Nabokov. Se ne ragionava qualche mese fa nella puntata di Globoin cui Eugenio Cau intervistava lo scrittore spagnolo Javier Cercas.

Non è solo il mondo della letteratura, però, a interessarsi alle bugie. Anche le neuroscienze e la psicologia cognitiva le studiano per capirne le basi cognitive e cerebrali, e spesso sembrano suggerire che mentire, attività socialmente biasimata, richieda in realtà processi molto sofisticati che potrebbero addirittura aver contribuito all’evoluzione della nostra intelligenza.

Bisogna però prima intenderci su cosa sia una bugia. Se mentire è semplicemente dire qualcosa di falso, la distinzione tra bugia e storytelling diventa molto sfumata, perché le storie sono quasi sempre inventate, in un certo senso anche quando raccontano qualcosa di vero. Mi spiega Marco La Rosa, autore del libro Neuroscienze della narrazione: «I narratologi sostengono che le narrazioni siano intrinsecamente false, cioè la narrazione è sempre falsa. Se andiamo a vedere bene, non esiste differenza tra narrazione vera e narrazione falsa. Ogni volta che raccontiamo qualcosa dobbiamo necessariamente fare un’operazione di riduzionismo selezionando alcuni elementi e raccontando quello che vogliamo».

A distinguere fra bugia e narrazione non può neppure essere l’intenzione di ingannare perché anche chi racconta storie è consapevole di inventare, anzi, chiede a chi lo ascolta di “sospendere l’incredulità” – almeno temporaneamente – e di accondiscendere all’inganno facendo “come se” il racconto fosse vero. Qualcuno sostiene che l’unico tratto genuinamente di pertinenza della bugia sia l’inganno, il fatto di mentire per un proprio tornaconto, spesso a danno dell’altro, ma è vero che anche chi racconta lo fa spesso per avere un vantaggio, benché raramente per danneggiare qualcuno. È possibile quindi che più che di una dicotomia netta si tratti di un continuum, di un percorso graduale dove ognuno di noi può decidere il punto in cui mettere l’asticella che separa il racconto dalla menzogna. Ovvio che per farlo occorre credere che una distinzione ci sia.

«Una delle cose che servono per mentire», mi dice Vittorio Gallese, professore di psicobiologia all’Università di Parma, «è possedere il concetto di vero o falso». Nella sua carriera di scienziato, Gallese ha letteralmente scritto un pezzetto di storia delle neuroscienze, avendo contribuito all’osservazione dei neuroni specchio insieme a Giacomo Rizzolatti. È, fra le altre cose, esperto di studi sull’empatia, la capacità di mettersi nei panni e nella testa degli altri.

Per Gallese non può esistere bugia senza negazione, senza una coscienza di ciò che “non è”, che è anche la premessa per “fare finta di”. «Questa è una delle basi delle attività di gioco, negli esseri umani ma anche negli altri animali. Anche i gattini, quando giocano facendo la lotta, fingono». Ed è buffo perché mentre mi parla in videochiamata, vedo sbucare nell’inquadratura le zampe del suo gatto che cercano di acchiappare le sue mani mentre gesticola.

Anche i cuccioli umani, specialmente fra i due e i sette anni, si impegnano spontaneamente in quello che gli psicologi chiamano pretend play, una versione “baby” dei giochi di ruolo: travestirsi, fare finta di essere qualcun altro, inventare storie fantastiche vivendole “come se” fossero vere. Il famoso «facciamo che io ero». È anche abbastanza frequente che in quella stessa età i bambini inventino frottole fantasiose. La letteratura scientifica ha collegato queste attività in età precoce allo sviluppo di importanti capacità cognitive e sociali, come il pensiero simbolico, la teoria della mente (cioè la capacità di attribuire agli altri stati mentali come intenzioni e desideri), e il ragionamento controfattuale («cosa succederebbe se…?»).

LLa mente umana si sviluppa in un contesto sociale: per questo il gioco in cui si inventano diverse possibilità e modi di essere mentre si sta in un gruppo rappresenta un momento cruciale dello sviluppo. «Si parte dal noi per arrivare all’io e al tu, non viceversa», dice Gallese. «L’essere umano più di altri è un animale neotenico: il nostro cervello alla nascita ha meno di un terzo del volume che acquisterà da adulto, questo vuol dire che la gran parte della crescita intellettiva avviene in un contesto sociale. I cognitivisti parlano espressamente di lettura o teoria della mente».

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