Le tigri sono uno dei felini più affascinanti e potenti della Terra. Con la loro bellezza e ferocia, hanno ispirato la paura e il rispetto da parte dell’uomo per secoli. Ma sono diventati sempre più rari a causa della crescente perdita di habitat e della caccia da parte dell’uomo.
L’estinzione di massa provocata dall’uomo ha letteralmente mutilato l’albero della vita, causando la perdita non solo di ‘ramoscelli’, ovvero di specie, ma anche di ‘rami’ veri e propri che raggruppano più specie imparentate fra loro, i cosiddetti generi: 73 quelli di animali vertebrati che sono già scomparsi dalla faccia della Terra, con un tasso di estinzione che è 35 volte più alto rispetto alla media del milione di anni precedente. A lanciare l’allarme è lo studio pubblicato sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas) da Gerardo Ceballos, dell’Università nazionale autonoma del Messico, e Paul Ehrlich, dell’Università di Stanford negli Stati Uniti.
Considerando che l’interesse pubblico e scientifico si è concentrato finora sull’estinzione delle specie, i due ricercatori hanno pensato di allargare ulteriormente il campo andando a verificare la situazione a un livello tassonomico superiore, quello dei generi. Per farlo, hanno raccolto informazioni sullo stato di conservazione di 5.400 generi di animali vertebrati che vivono sulla terraferma, per un totale di 34.600 specie, basandosi su diversi database, come quelli dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) e Birdlife International. Dai risultati è emerso che 73 generi di vertebrati terrestri si sono già estinti dal 1.500 ad oggi. Gli uccelli hanno subito le perdite più pesanti con la scomparsa di 44 generi, seguiti in ordine da mammiferi, anfibi e rettili. Sulla base del tasso storico di estinzione dei generi tra i mammiferi (stimato da Anthony Barnosky, professore emerito di biologia integrativa all’Università della California a Berkeley), l’attuale tasso di estinzione dei generi dei vertebrati supera di 35 volte quello dell’ultimo milione di anni. Ciò significa che, senza l’influenza umana, si sarebbero persi probabilmente solo due generi.
L’idea risale al 1909, quando lo zoologo estone Jakob von Uexküll, partendo dal presupposto che l’animale sia un essere senziente e non una macchina, elabora il concetto di Umwelt. La Terra “brulica di paesaggi”, percorsi “da suoni e vibrazioni, odori e sapori, campi elettrici e magnetici”. Ma ogni animale può cogliere solo una parte della ricchezza ambientale. Ciascuno è chiuso all’interno della propria “bolla sensoriale” e vede il mondo secondo la sua prospettiva, inevitabilmente ristretta. Il problema è che non ce ne accorgiamo. A renderlo esplicito a un pubblico di lettori che ci si augura ampio è il ricchissimo saggio del divulgatore scientifico inglese Ed Yong, Un mondo immenso, ottimamente tradotto da Stefano Travagli e pubblicato da La nave di Teseo.
A nessuno il mondo in cui vive pare una porzione di un mondo più grande e diverso. E poi i sensi – quelli interni, come la propriocezione – ci giocano uno strano scherzo, perché scollegano la nostra esperienza della realtà dagli organi che la producono. In altre parole, ci spingono a pensare che l’idea del mondo sia un costrutto mentale distante dalla realtà fisica. Che, cartesianamente, ci sia una mente opposta a un corpo. È il motivo per cui il tema della metamorfosi riempie miti e leggende. È l’origine di numerose opere letterarie in cui la voce narrante assume il punto di vista di un non umano. Ma “il mondo sensoriale di un animale è il risultato di tessuti solidi che rilevano stimoli reali e producono cascate di segnali elettrici. La mente umana in un corpo di pipistrello non funzionerebbe”. Quanto appare evidente a più di un secolo di distanza dall’intuizione di Uexküll è che il livello di conoscenza degli Umwelten degli altri animali è incredibilmente cresciuto.
Il contributo di più discipline – la biologia, l’etologia, la fisiologia, la neurologia, la zoologia – ci ha condotto a intuire cosa può essere l’orizzonte di vita di un animale non umano. Intuire non significa capire del tutto, impresa che possiamo tranquillamente ritenere impossibile. Significa invece ricostruire attraverso quali percorsi una balena o un calamaro gigante agiscono nel mondo. Cosa sentono del mondo. Per arrivare a questo risultato la nostra specie deve innanzitutto evitare di affidarsi soltanto al senso guida, alla vista. E deve poi, ricostruita la fisiologia dell’apparato sensoriale altrui, accettare l’idea di vivere a contatto con colori, suoni, “consistenze” e scenari che, letteralmente, non coglie. Apparirà così inequivocabile che il concetto di Umwelt è “un’idea meravigliosamente espansiva”, in grado di farci comprendere“che non tutto è ciò che sembra e che tutto ciò di cui facciamo esperienza è solo una versione filtrata di tutto ciò di cui potremmo fare esperienza”. Si tratta di una prospettiva per molti versi sconvolgente, che determina un frastagliato spettro di ricadute. Perché rende la realtà un intrico di piani più complesso di quanto si possa supporre, permettendoci di cogliere “che c’è luce nell’oscurità, rumore nel silenzio, ricchezza nell’insignificanza”; perché accetta che gli altri animali abbiano una complessità sensoriale e cognitiva e non agiscano sulla base di un indefinito “istinto”; perché ci riallinea, ancora una volta, ma in questo caso in modo ancor più marcato, alla natura, facendo dell’uomo uno dei tanti abitanti del pianeta. Anche se poi, in effetti, la nostra capacità di affacciarci alla mente altrui, sembra distinguerci dalle altre specie ed essere la “nostra più grande abilità sensoriale”. Entrare nell’universo animale attraverso la strada dei sensi, in definitiva, allarga le dimensioni del mondo. I sensi infatti non servono solo a fare ordine, strutturando la vita dei viventi. Non sono quindi, come inizialmente il concetto di Umwelt potrebbe far credere, soltanto la prigione che esclude dal contatto con gli altri viventi. La loro funzione è anche quella di definire “il futuro di una specie, le sue possibilità evolutive”, filtrando gli stimoli “relativi a cibo, riparo, minacce, alleati o partner”. Ma c’è di più. Leggendo Yong, non si può fare a meno di pensare quanto la comprensione di altri viventi ci aiuti a stabilire empatia, a costruire relazioni con animali non umani e anche con i nostri simili che hanno una diversa percezione del mondo per via di menomazioni sensoriali.
Il primo senso a cui si dedica Yong è l’olfatto. Per la nostra specie è un senso poco nobile, i filosofi greci ritengono che produca esclusivamente “impressioni emotive”. Freud lo lega al disgusto. Se noi tendiamo a sottovalutarlo, per molti animali però è fondamentale. Cani, elefanti e formiche annusano in stereofonia. Usando una coppia di narici o di antenne, tracciano paesaggi chimici. I serpenti fanno la stessa cosa ricorrendo alla lingua biforcuta che guizza continuamente sul terreno. Le lucertole compiono l’operazione in modo simile, dando però solo qualche colpetto al terreno. I salmoni tornano nei torrenti dove sono nati inseguendo gli odori dell’infanzia. Gli orsi polari lasciano scie di odori attraverso le ghiandole poste nelle loro zampe. Nonostante a lungo si sia creduto il contrario, anche molte specie di uccelli, soprattutto marini, sono sensibili agli odori. Chi punta sull’olfatto ha a disposizione una diversa fisiologia: i cani hanno uno scompartimento separato, che fa restare nel naso gli odori che noi espelliamo respirando. Con le due fessure poste ai lati delle narici, inoltre, incamerano aria anche quando espirano. Il vantaggio degli odori è che si muovono in ogni condizione problematica per la vista. Persistono e ci raccontano una storia. Permettono di fare previsioni, precedendo chi li produce. Gli animali se ne servono per raccogliere informazioni, soprattutto sul cibo e sul partner. Ci sono civiltà animali fondate sull’olfatto. Le formiche hanno visto un’esplosione dei geni che codificano i recettori olfattivi quando sono passate da un’esistenza solitaria ad una sociale. Si coordinano con i feromoni, in cui senza saperlo anche noi siamo immersi, diventando “un vero e proprio superorganismo”.
Rispetto all’olfatto, il gusto è un senso più semplice e serve per prendere decisioni binarie sul cibo: buono da mangiare o no? Lo facciamo noi – fin dalla nascita evitiamo ciò che è amaro – e lo fanno gli altri animali. Rettili, uccelli e mammiferi assaggiano con la lingua, la maggior parte degli uccelli con le zampe. Il senso del gusto più esteso in natura è dei pesci gatto. Gatti, iene maculate e molti mammiferi esclusivamente carnivori non hanno il senso del dolce. I panda, che si nutrono solo di bambù, hanno un’ampia batteria di geni per percepire l’amaro. Ma i mammiferi che ingoiano prede intere, come i delfini, lo hanno perso. I piccoli dinosauri predatori avevano perso la capacità di sentire lo zucchero e hanno consegnato questo “palato ristretto ai loro discendenti, gli uccelli”. Ma gli uccelli canori hanno riacquisito il senso del dolce. Il processo è avvenuto in Australia, dove i fiori sono ricchi di nettare e gli alberi di eucalipto rilasciano dalla corteccia una sostanza sciropposa. Grazie a queste eccezionali fonti di energia, gli uccelli canori si sono diffusi negli altri continenti e ora sono la metà delle specie di uccelli esistenti al mondo.
La vista dà vita a moltissimi Umwelten. Ovvero, il mondo non è solo quello che noi vediamo. La visione frontale, la sensazione che le cose ci stiano davanti, è prevalentemente nostra. Lo spazio visivo degli uccelli è tutto intorno a loro e ci si muovono attraverso. Lo sguardo fisso delle mucche non nasce dalla noia ma dal fatto che non hanno bisogno di girarsi perché il loro campo visivo copre quasi tutta l’area attorno alla testa. Molti animali vedono al buio. Cani e gatti col tapetum lucidum, alcuni con occhi e pupille eccezionalmente grandi, come l’allocco o, nelle profondità oceaniche, il calamaro gigante e il calamaro colossale, che devono cogliere i lampi di bioluminescenza prodotti dal loro predatore, il capodoglio, quando si scontra con meduse, crostacei e plancton. Nulla è più variabile dei colori del mondo. E nulla è più controintuitivo dell’idea che il colore esista solo nell’occhio di chi guarda e nel suo cervello. Il passaggio alla visione del colore probabilmente si è verificato con l’esplosione del Cambriano, 541 milioni di anni fa, quando molte creature che vivevano nelle acque basse dei mari ne hanno avuto bisogno, perché i riflessi del sole per i monocromatici sono disorientanti. Il colore invece è costante e stabilizza la visione del mondo. Per percepirlo basta il dicromatismo. È la condizione dei cani (e della maggior parte dei mammiferi, compresi i daltonici umani), che vedono il mondo in sfumature di blu, giallo e grigio. I primati sono invece tricromatici, avendo un gene che aggiunge ai blu e ai gialli anche i rossi e i verdi, con cui hanno potuto con più facilità individuare frutti e foglie nelle foreste. Gli umani però sono tra i pochi che non vedono la luce ultravioletta. Formiche, cani e gatti ci riescono. Grazie ad essa i pesci vedono il plancton, i roditori il profilo degli uccelli, le renne i muschi e licheni. Molti uccelli hanno raggi ultravioletti nel piumaggio, i fiori hanno chiazze ultraviolette per attirare gli impollinatori. L’assenza dell’ultravioletto crea negli umani un vuoto percettivo: la natura ha un volto diverso da quello che noi le attribuiamo. Spesso il colore è una risposta all’ambiente. I pesci delle barriere coralline hanno colori tra il blu e il giallo perché il rosso viene assorbito dall’acqua. Ma la scelta di quelle tinte è fatta per nascondersi ai predatori: il giallo scompare contro i coralli, il blu si confonde con l’acqua. L’atto di vedere ha ricolorato il mondo, ha creato la bellezza.
Come il colore, il dolore è soggettivo – non c’è nulla di intrinsecamente doloroso – e, avvertendoci di una lesione o di un pericolo, è fondamentale per la sopravvivenza. Mentre la nocicezione è il processo sensoriale attraverso il quale rileviamo un danno, il dolore è la sofferenza successiva, in cui è coinvolto il cervello: il dolore richiede un certo grado di elaborazione consapevole. Filosofi come Cartesio e Malebranche erano dell’idea che gli animali non sperimentassero dolore. Oggi non possiamo supporre che tutti gli animali lo provino: la coscienza non è una proprietà intrinseca di tutte le forme di vita. Potrebbe però esistere una condizione intermedia tra provare dolore e non provare nulla. Estremamente variabile è anche la percezione del calore. Ogni specie viaggia autonomamente. Così se la formica d’argento del Sahara va in cerca di cibo quando la sabbia raggiunge i 53 °C, le mosche del genere Chionea sono attive a -6 °C. Noi, come tutti i mammiferi e gli uccelli, abbiamo imparato a separare la nostra temperatura da quella dell’ambiente. Il vantaggio ci ha però resi facili da individuare per i parassiti, soprattutto quelli in cerca di sangue.
Il tatto, pur essendo il senso dell’intimità e dell’immediatezza, a cui si affidano soprattutto gli animali che operano dove la vista è limitata, funziona anche a distanza. La talpa dal muso stellato usa le appendici rosa che ha attorno al naso per toccare l’ambiente circostante. Alcuni uccelli, come le anatre, hanno sensori tattili nel becco, altri nella peluria rigida sulla testa. Forse in origine le piume avevano la stessa funzione. I topi e i ratti, agitando continuamente le vibrisse avanti e indietro, esplorano la zona che si trova davanti e intorno alla loro testa. Il tatto guida i movimenti dei pesci. Quando i predatori si avvicinano, il banco reagisce come se fosse una sola cosa, perfettamente coordinato. A guidarlo è un sistema di sensori detto linea laterale, costituita da pori presenti sulla testa e sui fianchi e da canali pieni di fluido che scorrono sottopelle, destinata ad attivarsi quando il movimento dei predatori sposta l’acqua verso i pesci vicini.
La civiltà soprattutto occidentale si è allontanata dal terreno con le scarpe, le sedie, i pavimenti, per cui quasi tutti noi umani siamo esclusi dal “paesaggio vibrazionale a cui partecipano altre specie”. Non percepiamo i “sensi sismici”. Ma circa duecentomila specie di insetti comunicano così. I membracidi emettono vibrazioni che, registrate, si rendono percepibili come “suoni lunghi, inquietanti, sorprendenti”, i cosiddetti “canti vibrazionali”, che conservano energia anche sulle lunghe distanze. Ci sono molti animali che vi fanno ricorso. Lo scorpione della sabbia se ne serve per individuare i passi della preda. I lombrichi corrono verso la superficie se percepiscono le vibrazioni di una talpa impegnata a scavare. I gatti hanno sensori delle vibrazioni nei muscoli dell’addome. I leoni sdraiati non sono pigramente abbandonati all’inerzia, ma stanno valutando la situazione guidati dalle vibrazioni. Anche gli elefanti le usano e riescono anche a capire se sono prodotte da esemplari che conoscono o da estranei. Quando stanno al centro della ragnatela, i ragni tengono le zampe sui raggi che canalizzano le vibrazioni verso di loro. In precedenza hanno programmato la ragnatela, scegliendo quali vibrazioni devono essere percepite. La ragnatela è insomma un’estensione della loro consapevolezza.
Come il tatto, l’udito è un senso meccanico, che rileva i movimenti del mondo esterno. Mentre i mammiferi hanno un ottimo udito e orecchie simili, gli insetti sono prevalentemente sordi e quelli che ci sentono hanno sviluppato orecchie in ogni parte del corpo. Producendo e ascoltando suoni, gli insetti si scambiano segnali a velocità superiori: questo forse spiega perché, milioni di anni fa, grilli e catitidi cominciarono a cantare. Ma nel mondo naturale l’udito si lega soprattutto al canto degli uccelli, di cui noi possiamo cogliere solo alcuni aspetti. Si tratta di un campo di studi ricco di sorprese: si è scoperto, per esempio, che gli uccelli sentono in modo diverso a seconda della stagione e del sesso. Tra i suoni più affascinanti in natura ci sono i richiami a bassissima frequenza della balenottera comune e della balenottera azzurra. Il loro canto, che può propagarsi per ventimila chilometri, serve a comunicare e a mappare la densità della crosta oceanica durante le lunghe migrazioni. Gli infrasuoni sono sfruttati anche dalle famiglie di elefanti, che, pur separate da grandi distanze, si muovono nella stessa direzione per settimane, emettendo borbottii per noi impercettibili. Topi, ratti e roditori invece hanno un ampio repertorio di versi ultrasonici. Usati nei laboratori fin dal XVII secolo, chiacchierano animatamente tra loro senza che noi ce ne accorgiamo. Gli insetti con orecchie sentono gli ultrasuoni. Il motivo? Non farsi sorprendere dai loro nemici più pericolosi, i pipistrelli. Proprio i pipistrelli sono uno dei due gruppi che ha perfezionato il sonar biologico. L’altro è quello degli odontoceti, cioè i delfini, le orche e i capodogli. L’ecolocalizzazione serve per evitare collisioni e per cacciare. A differenza degli altri sensi, coinvolge l’emissione di energia nell’ambiente: si produce uno stimolo per poi rilevarlo. Nell’acqua il suono si propaga più velocemente e va più lontano, inoltre le onde sonore penetrano la carne e rimbalzano sulle strutture interne come ossa e sacche d’aria. Altri animali acquatici, in particolare i pesci elefante e i pesci coltello, usano i campi elettrici per percepire quanto li circonda. L’elettrolocalizzazione attiva è un senso istantaneo, funziona a distanza ridotta e permette di “toccare” l’ambiente da lontano. Squali e razze non producono elettricità ma hanno gli elettrorecettori con cui percepiscono i campi elettrici creati da tutti i corpi animali immersi nell’acqua: è l’elettrolocalizzazione passiva. I campi elettrici esistono anche lontano dall’acqua. Le api, per esempio, rilevano gli aloni elettrici invisibili dei fiori per l’impollinazione. Tartarughe marine e aragoste, da milioni di anni, si muovono guidate dai campi magnetici. Gli uccelli vi si affidano quando migrano. Le balene hanno una bussola interna che permette loro di andare dall’equatore ai poli tornando al punto di partenza l’anno successivo. Lo dimostrano le tempeste solari: quando si verificano, mandano in tilt il campo magnetico e le balene si spiaggiano.
Percorrendolo in questo modo, il mondo diventa davvero immenso. Anche perché i sensi vengono usati dagli animali in combinazione tra loro e ce ne sono alcuni, i cosiddetti sensi interni, che servono a distinguere i segnali prodotti da altri da quelli autoprodotti. Quanto fa riflettere è semmai che nel momento in cui siamo arrivati a conoscere i mondi sensoriali degli altri animali, quei mondi li abbiamo profondamente riplasmati, ritagliandoli sul nostro Umwelt. Ma un mondo antropizzato e invaso da luci e rumori annulla gli stimoli che connettono gli animali tra loro e con l’ambiente, restringendone – drammaticamente – il campo percettivo.
I linguaggi animali sono forme di comunicazione animale non umana che mostrano somiglianze con il linguaggio umano . Gli animali comunicano attraverso una varietà di segni, come suoni o movimenti. I segni tra gli animali possono essere considerati abbastanza complessi da essere una forma di linguaggio se l’inventario dei segni è ampio. I segni sono relativamente arbitrari e gli animali sembrano produrli con un certo grado di volizione (in contrasto con comportamenti condizionati relativamente automatici o istinti incondizionati, che di solito includono le espressioni facciali). Nei test sperimentali, la comunicazione animale può essere evidenziata anche attraverso l’uso di lessigrammi da parte di scimpanzé e bonobo .
Molti ricercatori sostengono che alla comunicazione animale manchi un aspetto chiave del linguaggio umano, la creazione di nuovi modelli di segni in varie circostanze. Gli esseri umani, al contrario, producono abitualmente combinazioni di parole completamente nuove. Alcuni ricercatori, tra cui il linguista Charles Hockett , sostengono che il linguaggio umano e la comunicazione animale differiscono così tanto che i principi sottostanti non sono correlati. [1] Di conseguenza, il linguista Thomas A. Sebeok ha proposto di non utilizzare il termine “linguaggio” per i sistemi di segni degli animali. [2] Tuttavia, altri linguisti e biologi, tra cui Marc Hauser , Noam Chomsky e W. Tecumseh Fitch, affermano che esiste un continuum evolutivo tra i metodi di comunicazione del linguaggio animale e umano . [3]
Aspetti del linguaggio umano
Il linguaggio umano contiene le seguenti proprietà. Alcuni esperti sostengono che queste proprietà separano il linguaggio umano dalla comunicazione animale:
Arbitrarietà : solitamente non esiste una relazione razionale tra un suono o un segno e il suo significato. [5] Ad esempio, non c’è nulla di intrinsecamente domestico nella parola “casa”.
Discretezza : il linguaggio è composto da parti piccole, separate e ripetibili (unità discrete, ad esempio morfemi ) che vengono utilizzate in combinazione per creare significato.
Spostamento : il linguaggio può essere utilizzato per comunicare su cose che non si trovano nelle immediate vicinanze né spazialmente né temporalmente. [5]
Dualità di modelli : le più piccole unità significative (parole o morfemi) sono costituite da sequenze di unità prive di significato (suoni o fonemi ). [5] Si parla anche di doppia articolazione .
Produttività : gli utenti possono comprendere e creare un numero indefinitamente elevato di espressioni. [5]
Semanticità : segnali specifici hanno significati specifici. [5]
La ricerca sulle scimmie , come quella di Francine Patterson con Koko [6] (gorilla) o di Allen e Beatrix Gardner con Washoe [7] [8] (scimpanzé), ha suggerito che le scimmie sono in grado di utilizzare un linguaggio che soddisfa alcuni di questi requisiti, tra cui arbitrarietà, discrezionalità e produttività. [9]
In natura, gli scimpanzé sono stati visti “parlare” tra loro quando avvisano dell’avvicinarsi del pericolo. Ad esempio, se uno scimpanzé vede un serpente, emette un suono basso e rimbombante, segnalando a tutti gli altri scimpanzé di arrampicarsi sugli alberi vicini. [10] In questo caso, la comunicazione degli scimpanzé non indica spostamento, poiché è interamente contenuta in un evento osservabile.
È stata notata arbitrarietà nei richiami dei suricati ; le danze delle api dimostrano elementi di spostamento spaziale; e la trasmissione culturale è probabilmente avvenuta attraverso il linguaggio tra i bonobo chiamati Kanzi e Panbanisha . [11]
Il linguaggio umano potrebbe anche non essere del tutto “arbitrario”. La ricerca ha dimostrato che quasi tutti gli esseri umani dimostrano naturalmente una percezione crossmodale limitata (ad esempio sinestesia ) e un’integrazione multisensoriale , come illustrato dallo studio di Kiki e Bouba . [12] [13] Altre ricerche recenti hanno cercato di spiegare come è emersa la struttura del linguaggio umano, confrontando due diversi aspetti della struttura gerarchica presenti nella comunicazione animale e proponendo che il linguaggio umano sia nato da questi due sistemi separati. [14]
Tuttavia, le affermazioni secondo cui gli animali hanno abilità linguistiche simili a quelle umane sono estremamente controverse. Nel suo libro The Language Instinct , [15]Steven Pinker illustra che le affermazioni secondo cui gli scimpanzé acquisiscono il linguaggio sono esagerate e si basano su prove molto limitate o speciose. [15]
Il linguista americano Charles Hockett ha teorizzato che ci sono sedici caratteristiche del linguaggio umano che distinguono la comunicazione umana da quella degli animali. Chiamò queste le caratteristiche progettuali del linguaggio . Le caratteristiche menzionate di seguito sono state finora trovate in tutte le lingue umane parlate, e almeno una manca in qualsiasi altro sistema di comunicazione animale.
Canale vocale-uditivo : i suoni vengono emessi dalla bocca e percepiti dal sistema uditivo. [5] Anche se questo vale per molti sistemi di comunicazione animale, ci sono molte eccezioni, come quelli che si basano sulla comunicazione visiva. Un esempio sono i cobra che estendono le costole dietro la testa per inviare il messaggio di intimidazione o di sentirsi minacciati. [16] Negli esseri umani, le lingue dei segni forniscono molti esempi di lingue completamente formate che utilizzano un canale visivo.
Trasmissione broadcast e ricezione direzionale : [5] Ciò richiede che il destinatario possa indicare la direzione da cui proviene il segnale e quindi l’originatore del segnale.
Svanimento rapido ( natura transitoria ): il segnale dura poco. [5] Questo è vero per tutti i sistemi che coinvolgono il suono. Non tiene conto della tecnologia di registrazione audio e non è vero nemmeno per la lingua scritta. Tende a non applicarsi ai segnali degli animali che coinvolgono sostanze chimiche e odori che spesso svaniscono lentamente. Ad esempio, l’odore di una puzzola, prodotto nelle sue ghiandole, persiste per dissuadere un predatore dall’attaccare. [17]
Intercambiabilità : tutti gli enunciati compresi possono essere prodotti. [5] Questo è diverso da alcuni sistemi di comunicazione in cui, ad esempio, i maschi producono un insieme di comportamenti e le femmine un altro e non sono in grado di scambiare questi messaggi in modo che i maschi utilizzino il segnale femminile e viceversa. Ad esempio, le falene eliotiche hanno una comunicazione differenziata: le femmine sono in grado di inviare una sostanza chimica per indicare la preparazione all’accoppiamento, mentre i maschi non possono inviare la sostanza chimica. [18]
Feedback totale : il mittente di un messaggio è a conoscenza del messaggio inviato. [5]
Specializzazione : il segnale prodotto è destinato alla comunicazione e non è dovuto ad un altro comportamento. [5] Ad esempio, l’ansimare del cane è una reazione naturale al surriscaldamento, ma non viene prodotto per trasmettere specificamente un messaggio particolare.
Semanticità : esiste una relazione fissa tra un segnale e un significato. [5]
Primati
Gli esseri umani sono in grado di distinguere le parole vere da quelle false in base all’ordine fonologico della parola stessa. In uno studio del 2013, è stato dimostrato che anche i babbuini possiedono questa abilità. La scoperta ha portato i ricercatori a credere che la lettura non sia un’abilità così avanzata come si credeva in precedenza, ma si basa invece sulla capacità di riconoscere e distinguere le lettere l’una dall’altra. L’esperimento consisteva in sei giovani babbuini adulti e i risultati sono stati misurati consentendo agli animali di utilizzare un touch screen e selezionare se la parola visualizzata era o meno una parola reale o una non parola come “dran” o “telk”. . Lo studio è durato sei settimane, durante le quali sono stati completati circa 50.000 test. I ricercatori hanno minimizzato i bigram comuni, o combinazioni di due lettere, in non parole, e massimizzarle in parole reali. Ulteriori studi cercheranno di insegnare ai babbuini come utilizzare un alfabeto artificiale. [19]
In uno studio del 2016, un team di biologi di diverse università ha concluso che i macachi possiedono tratti vocali fisicamente capaci di parlare, “ma mancano di un cervello pronto a parlare per controllarlo”. [20] [21]
Non primati
Tra gli esempi più studiati di lingue non primatiche ci sono:
Uccelli
Canti degli uccelli : gli uccelli canori possono essere molto articolati. I pappagalli grigi sono famosi per la loro capacità di imitare il linguaggio umano e almeno un esemplare, Alex , sembrava in grado di rispondere a una serie di semplici domande sugli oggetti che gli venivano presentati, come rispondere a semplici equazioni matematiche e identificare i colori. Pappagalli , colibrì e uccelli canori mostrano modelli di apprendimento vocale.
Danza delle api : utilizzata per comunicare la direzione e la distanza della fonte di cibo in molte specie di api .
Mammiferi
Elefanti africani delle foreste : il progetto di ascolto degli elefanti della Cornell University [22] iniziò nel 1999 quando Katy Payne iniziò a studiare i richiami degli elefanti africani delle foreste nel Parco nazionale di Dzanga nella Repubblica Centrafricana . Andrea Turkalo ha continuato il lavoro di Payne nel Parco Nazionale Dzanga osservando la comunicazione degli elefanti. [22] Per quasi 20 anni, Turkalo ha trascorso la maggior parte del suo tempo utilizzando uno spettrogrammaper registrare i rumori che fanno gli elefanti. Dopo lunghe osservazioni e ricerche, è stata in grado di riconoscere gli elefanti dalla loro voce. I ricercatori sperano di tradurre queste voci in un dizionario degli elefanti, ma probabilmente ciò non accadrà per molti anni. [ perché? ] Poiché i richiami degli elefanti vengono spesso effettuati a frequenze molto basse, lo spettrogramma è progettato per rilevare frequenze più basse di quelle che gli esseri umani possono percepire, consentendo a Turkalo di comprendere meglio il rumore degli elefanti. La ricerca di Cornell sugli elefanti delle foreste africane ha messo in discussione l’idea che gli esseri umani siano notevolmente più bravi degli animali nell’uso del linguaggio e che gli animali abbiano solo una piccola serie di informazioni da trasmettere agli altri. Come ha spiegato Turkalo, “molti dei loro richiami sono in qualche modo simili al linguaggio umano.[23]
Pipistrelli baffuti : poiché questi animali trascorrono la maggior parte della loro vita nell’oscurità, fanno molto affidamento sul loro sistema uditivo per comunicare, anche tramite l’ecolocalizzazione e utilizzando i richiami per localizzarsi a vicenda. Gli studi hanno dimostrato che i pipistrelli baffuti utilizzano un’ampia varietà di richiami per comunicare tra loro. Questi richiami includono 33 suoni diversi, o “sillabe”, che i pipistrelli usano da soli o combinano in vari modi per formare sillabe composite. [24]
Cani della prateria : Con Slobodchikoff ha studiato la comunicazione dei cani della prateria e ha scoperto che usano diversi segnali di allarme e comportamenti di fuga per diverse specie di predatori. I loro richiami trasmettono informazioni semantiche, come è stato dimostrato quando la riproduzione di richiami di allarme in assenza di predatori ha portato a un comportamento di fuga appropriato per i tipi di predatori associati ai richiami. I richiami di allarme contengono anche informazioni descrittive sulle dimensioni generali, sul colore e sulla velocità del predatore. [25]
Delfini tursiopi : i delfini possono sentirsi tra loro fino a 6 miglia di distanza sott’acqua. [26] I ricercatori hanno osservato una madre delfino comunicare con successo con il suo bambino utilizzando un telefono. Sembrava che entrambi i delfini sapessero con chi stavano parlando e di cosa stavano parlando. Non solo i delfini comunicano tramite segnali non verbali, ma sembrano anche chiacchierare e rispondere alle vocalizzazioni degli altri delfini. [27]
Balene : due gruppi di balene, la megattera e una sottospecie di balenottera azzurra che si trova nell’Oceano Indiano , sono noti per produrre suoni ripetuti a frequenze variabili, noti come canti delle balene . I maschi delle megattere eseguono queste vocalizzazioni solo durante la stagione degli amori, e quindi si suppone che lo scopo dei canti sia quello di aiutare la selezione sessuale.. Le megattere emettono anche un suono chiamato richiamo del cibo, che dura dai cinque ai dieci secondi con una frequenza quasi costante. Le megattere generalmente si nutrono in modo cooperativo riunendosi in gruppi, nuotando sotto banchi di pesci e lanciandosi verticalmente attraverso i pesci e fuori dall’acqua insieme. Prima di questi affondi, le balene fanno il loro richiamo alimentare. Lo scopo esatto del richiamo non è noto, ma la ricerca suggerisce che i pesci reagiscono ad esso. Quando il suono è stato riprodotto loro, un gruppo di aringhe ha risposto al suono allontanandosi dal richiamo, anche se non era presente nessuna balena. [ citazione necessaria ]
Leoni marini : dal 1971, Ronald J. Schusterman e i suoi collaboratori di ricerca hanno studiato le capacità cognitive dei leoni marini. Hanno scoperto che i leoni marini sono in grado di riconoscere le relazioni tra stimoli sulla base di funzioni simili o connessioni stabilite con i loro pari, piuttosto che solo sulle caratteristiche comuni degli stimoli. Questa si chiama classificazione di equivalenza . Questa capacità di riconoscere l’equivalenza può essere un precursore del linguaggio. [28] La ricerca è attualmente in corso presso il Pinniped Cognition & Sensory Systems Laboratory per determinare come i leoni marini formano queste relazioni di equivalenza . È stato dimostrato anche che i leoni marini comprendono la sintassi semplicee comanda quando viene insegnato un linguaggio dei segni artificiale simile a quello usato con i primati. [29] I leoni marini studiati sono stati in grado di apprendere e utilizzare una serie di relazioni sintattiche tra i segni che erano stati loro insegnati, ad esempio il modo in cui i segni dovrebbero essere disposti l’uno in relazione all’altro. Tuttavia, i leoni marini usavano raramente i segni in modo semantico o logico. [30] In natura si pensa che i leoni marini utilizzino capacità di ragionamento legate alle relazioni di equivalenza per prendere decisioni importanti che possono influenzare la loro sopravvivenza, ad esempio riconoscere amici e parenti o evitare nemici e predatori. [28] I leoni marini utilizzano varie posizioni posturali e una serie di latrati, cinguettii, clic, gemiti, ringhi e squittii per comunicare. [31]Non è ancora stato dimostrato che i leoni marini utilizzino l’ecolocalizzazione come mezzo di comunicazione. [32]
Gli effetti dell’apprendimento sulla segnalazione uditiva in questi animali sono di interesse per i ricercatori. Diversi ricercatori hanno sottolineato che alcuni mammiferi marini sembrano avere la capacità di alterare sia le caratteristiche contestuali che strutturali delle loro vocalizzazioni come risultato dell’esperienza. Janik e Slater hanno affermato che l’apprendimento può modificare le vocalizzazioni in due modi, influenzando il contesto in cui viene utilizzato un particolare richiamo, o alterando la struttura acustica del richiamo stesso. [33] I leoni marini maschi della California possono imparare a inibire l’abbaiare in presenza di qualsiasi maschio dominante per loro, ma vocalizzano normalmente quando i maschi dominanti sono assenti. [34]I diversi tipi di richiamo delle foche grigie possono essere selettivamente condizionati e controllati da diversi segnali, [35] e l’uso del rinforzo alimentare può anche modificare le emissioni vocali. Una foca maschio in cattività di nome Hoover ha dimostrato un caso di mimetismo vocale, ma da allora non sono state riportate osservazioni simili. Still mostra che, nelle giuste circostanze, i pinnipedi possono utilizzare l’esperienza uditiva oltre alle conseguenze ambientali come il rinforzo alimentare e il feedback sociale per modificare le loro emissioni vocali. [ citazione necessaria ]
In uno studio del 1992, Robert Gisiner e Schusterman condussero esperimenti in cui tentarono di insegnare la sintassi a una femmina di leone marino della California di nome Rocky. [30] A Rocky furono insegnate le parole segnate, quindi le fu chiesto di eseguire vari compiti dipendenti dall’ordine delle parole dopo aver visualizzato un’istruzione segnata. Si è scoperto che Rocky era in grado di determinare le relazioni tra segni e parole e formare la sintassi di base. [30] Uno studio del 1993 di Schusterman e David Kastak ha scoperto che il leone marino della California era in grado di comprendere concetti astratti come simmetria, identità e transitività . Ciò suggerisce che le relazioni di equivalenza possono formarsi senza linguaggio.
I suoni caratteristici dei leoni marini vengono prodotti sia sopra che sott’acqua. Per marcare il territorio, i leoni marini “abbaiano”, con i maschi non alfa che fanno più rumore degli alfa. Sebbene anche le femmine abbaiano, lo fanno meno frequentemente e più spesso in occasione del parto o della cura dei loro piccoli. Le femmine producono una vocalizzazione lamentosa altamente direzionale, il richiamo dell’attrazione dei cuccioli, che aiuta madri e cuccioli a localizzarsi a vicenda. Come notato in Comportamento animale , il loro stile di vita anfibio ha reso loro necessari la comunicazione acustica per l’organizzazione sociale sulla terraferma.
I leoni marini possono sentire frequenze comprese tra 100 Hz e 40.000 Hz e vocalizzare tra 100 e 10.000 Hz. [36]
Molluschi
È stato dimostrato che i calamari della barriera corallina caraibica comunicano utilizzando una varietà di cambiamenti di colore, forma e consistenza. I calamari sono capaci di rapidi cambiamenti nel colore e nella struttura della pelle attraverso il controllo del sistema nervoso dei cromatofori . [37] Oltre a mimetizzarsi e apparire più grandi di fronte a una minaccia, i calamari usano colori, motivi e lampeggiamenti per comunicare tra loro in vari rituali di corteggiamento. I calamari della barriera corallina caraibica possono inviare un messaggio tramite motivi colorati a un calamaro alla loro destra, mentre inviano un altro messaggio a un calamaro alla loro sinistra. [38] [39]
Vale la pena distinguere il “linguaggio animale” dalla “comunicazione animale”, sebbene in alcuni casi vi sia qualche interscambio comparativo (ad esempio gli studi sul richiamo del cercopiteco di Cheney e Seyfarth ). [43] Il linguaggio animale in genere non include la danza delle api, il canto degli uccelli, il canto delle balene, i fischietti dei delfini, i cani della prateria, né i sistemi comunicativi presenti nella maggior parte dei mammiferi sociali. [ citazione necessaria ] Le caratteristiche del linguaggio sopra elencate sono una formulazione datata di Hockettnel 1960. Attraverso questa formulazione Hockett fece uno dei primi tentativi di scomporre le caratteristiche del linguaggio umano allo scopo di applicare il gradualismo darwiniano. Sebbene abbia influenzato i primi sforzi sul linguaggio animale (vedi sotto), non è più considerata l’architettura chiave al centro della ricerca sul linguaggio animale. [ citazione necessaria ]
I risultati del linguaggio animale sono controversi per diverse ragioni (per una controversia correlata, vedere anche Clever Hans ). Negli anni ’70, John C. Lilly stava tentando di “infrangere il codice”: comunicare pienamente idee e concetti con le popolazioni selvatiche di delfini in modo da poter condividere la cultura umana e dei delfini, la storia e altro ancora. Questo sforzo è fallito. Il primo lavoro sugli scimpanzé riguardava i bambini di scimpanzé allevati come se fossero umani; una prova dell’ipotesi natura vs. educazione. [ citazione necessaria ]Gli scimpanzé hanno una struttura laringea molto diversa da quella degli esseri umani, ed è stato suggerito che gli scimpanzé non siano in grado di controllare volontariamente la respirazione, sebbene siano necessari studi migliori per confermarlo con precisione. Si ritiene che questa combinazione renda molto difficile per gli scimpanzé riprodurre le intonazioni vocali richieste per il linguaggio umano. I ricercatori alla fine si sono spostati verso una modalità gestuale (linguaggio dei segni), così come verso dispositivi a tastiera carichi di pulsanti decorati con simboli (noti come “lessigrammi”) che gli animali potevano premere per produrre un linguaggio artificiale. Altri scimpanzé imparavano osservando soggetti umani svolgere il compito. [ citazione necessaria ]Quest’ultimo gruppo di ricercatori che studiano la comunicazione degli scimpanzé attraverso il riconoscimento dei simboli (tastiera) così come attraverso l’uso del linguaggio dei segni (gestuale), sono all’avanguardia nelle scoperte comunicative nello studio del linguaggio animale e hanno familiarità con i loro soggetti su un piano più ampio. base del nome: Sarah, Lana, Kanzi, Koko, Sherman, Austin e Chantek. [ citazione necessaria ]
Forse il critico più noto del linguaggio animale è Herbert Terrace. La critica di Terrace del 1979, basata sulla propria ricerca con lo scimpanzé Nim Chimpsky [44] [45], fu feroce e sostanzialmente segnò la fine della ricerca sul linguaggio animale in quell’epoca, la maggior parte della quale enfatizzava la produzione del linguaggio da parte degli animali. In breve, ha accusato i ricercatori di sovrainterpretare i loro risultati, soprattutto perché raramente sono parsimoniosiattribuire una vera “produzione linguistica” intenzionale quando potrebbero essere avanzate altre spiegazioni più semplici per i comportamenti (segni gestuali della mano). Inoltre i suoi animali non riescono a generalizzare il concetto di riferimento tra le modalità di comprensione e di produzione; questa generalizzazione è una delle tante fondamentali che sono banali per l’uso del linguaggio umano. La spiegazione più semplice secondo Terrace era che gli animali avevano appreso una serie sofisticata di strategie comportamentali basate sul contesto per ottenere rinforzo primario (cibo) o sociale , comportamenti che potevano essere sovrainterpretati come uso del linguaggio.
Nel 1984 Louis Herman pubblicò sulla rivista Cognition un resoconto del linguaggio artificiale nel delfino tursiope . [46] Una delle principali differenze tra il lavoro di Herman e la ricerca precedente era la sua enfasi su un metodo di studio della sola comprensione del linguaggio (piuttosto che sulla comprensione e produzione del linguaggio da parte degli animali), che consentiva controlli rigorosi e test statistici, in gran parte perché era limitando i suoi ricercatori a valutare i comportamenti fisici degli animali (in risposta alle frasi) con osservatori ciechi, piuttosto che tentare di interpretare possibili espressioni o produzioni linguistiche. I nomi dei delfini qui erano Akeakamai e Phoenix. [46]Irene Pepperbergha utilizzato la modalità vocale per la produzione e la comprensione del linguaggio in un pappagallo grigio di nome Alex in modalità verbale, [47] [48] [49] [50] e Sue Savage-Rumbaugh continua a studiare i bonobo [51] [52] come Kanzi e Panbanisha. R. Schusterman ha duplicato molti dei risultati dei delfini nei suoi leoni marini della California (“Rocky”) e proveniva da una tradizione più comportamentista rispetto all’approccio cognitivo di Herman. L’enfasi di Schusterman è sull’importanza di una struttura di apprendimento nota come classi di equivalenza . [53] [54]
Tuttavia, nel complesso, non c’è stato alcun dialogo significativo tra la sfera della linguistica e quella del linguaggio animale, nonostante abbia catturato l’immaginazione del pubblico nella stampa popolare. Inoltre, il crescente campo dell’evoluzione del linguaggio è un’altra fonte di futuro interscambio tra queste discipline. La maggior parte dei ricercatori sui primati tende a mostrare una propensione verso un’abilità prelinguistica condivisa tra esseri umani e scimpanzé, risalente a un antenato comune, mentre i ricercatori sui delfini e sui pappagalli sottolineano i principi cognitivi generali alla base di queste capacità. Le controversie più recenti relative alle capacità degli animali includono le aree strettamente collegate della teoria della mente , l’Imitazione (ad esempio Nehaniv & Dautenhahn, 2002), [55] Cultura animale (ad esempio Rendell & Whitehead, 2001), [56]ed evoluzione del linguaggio (ad esempio Christiansen & Kirby, 2003). [57]
Recentemente nella ricerca sul linguaggio animale si è verificata una contestazione dell’idea che la comunicazione animale sia meno sofisticata di quella umana. Denise Herzing ha condotto una ricerca sui delfini alle Bahamas creando una conversazione bidirezionale tramite una tastiera sommersa. [58]La tastiera consente ai subacquei di comunicare con i delfini selvatici. Utilizzando suoni e simboli su ciascun tasto, i delfini potevano premere il tasto con il naso o imitare il sibilo emesso per chiedere agli esseri umani un oggetto specifico. Questo esperimento in corso ha dimostrato che nelle creature non linguistiche si verifica un pensiero sofisticato e rapido nonostante le nostre precedenti concezioni della comunicazione animale. Ulteriori ricerche condotte con Kanzi utilizzando i lessigrammi hanno rafforzato l’idea che la comunicazione animale è molto più complessa di quanto si pensasse.
Gli scienziati stanno cercando di trovare una spiegazione razionale allo strano caso dei due grandi squali bianchi che hanno viaggiato insieme lungo la costa atlantica.
DI MELISSA HOBSON
PUBBLICATO 13-09-2023
Lo squalo Jekyll viene rilasciato poco dopo essere stato dotato di tag per il tracciamento. L’animale ha viaggiato per migliaia di chilometri insieme a un altro esemplare di grande squalo bianco, e gli scienziati vogliono sapere perché.
FOTOGRAFIA DI OCEARCH/CHRIS ROSS
Lentamente, un grande squalo bianco nuota verso la barca, ed entra in uno speciale sollevatore idraulico. L’animale viene attirato da un’esca e poi agganciato alla bocca, incoraggiandolo a raggiungere la barca “un po’ come quando si insegna a un cane a camminare al guinzaglio”, afferma Bob Hueter, scienziato a capo di OCEARCH, un’organizzazione non profit specializzata in tracciamento di squali.
Una volta portato lo squalo sull’imbarcazione, “la scena è simile a quella del pit stop di una gara automobilistica”, spiega Hueter: uno scienziato provvede alla ventilazione dell’animale, mettendogli in bocca un tubo dal quale fuoriesce acqua marina fresca, mentre un altro attacca una corda alla coda per evitare che l’animale si faccia male. In circa 15 minuti il team di ricerca esegue oltre una decina di procedure, tra cui la misurazione dell’esemplare, scansioni a ultrasuoni e prelievo di campioni di sangue, muscoli, liquido seminale e feci per vari progetti di ricerca.
Questa operazione fa parte delle attività che OCEARCH sta dedicando allo studio dei grandi squali bianchi nella zona occidentale del Nord Atlantico, una popolazione meno conosciuta rispetto a quelle di altre zone del mondo. “Siamo nella regione de “Lo Squalo”, ma non conosciamo questi animali bene come dovremmo”, afferma Hueter.
Due giovani esemplari di grande squalo bianco che sono stati dotati di tag in questo modo, Simon e Jekyll, recentemente sono diventati famosi grazie a un post su un social media che riportava che i due hanno percorso insieme quasi 6.500 km lungo la costa atlantica del Nordamerica. La gente ha cominciato a chiedersi se i due squali potrebbero essere amici, ma la questione non è così semplice.
“L’amicizia implica un legame emotivo. Qui non si tratta di questo”, afferma Yannis Papastamatiou, biologo dell’Università internazionale della Florida, che non è coinvolto nel progetto. “Gli squali non creano legami emotivi di nessun tipo tra di loro. Una caratteristica, questa, che accomuna la maggior parte degli animali”.
Probabilmente questi squali non sono “amici”, ma non esistono testimonianze precedenti di due squali che abbiano viaggiato così a lungo insieme, il che porta gli scienziati a chiedersi se questo comportamento possa rivelare qualcosa sul mistero delle migrazioni di questi animali.
Lo strano caso di Simon e Jekyll
I due giovani esemplari maschi, entrambi di età compresa tra i 10 e i 15 anni e di lunghezza di quasi 2,5 metri, sono stati dotati di tag per la prima volta al largo della costa della Georgia a dicembre 2022. Quando gli squali risalgono in superficie, i loro tag trasmettono i dati via satellite, consentendo ai ricercatori e a chiunque altro di seguire i movimenti degli animali online in tempo reale.
In primavera gli squali migrano verso le zone di foraggiamento estivo. Salvador Jorgensen, ecologo marino presso l’Università statale della California, spiega che gli squali che lui studia nel Pacifico orientale viaggiano avanti e indietro dal “bar degli squali bianchi” (un luogo remoto nell’Oceano Pacifico tra la Bassa California e le Hawaii dove c’è grande abbondanza di pesci e calamari) in tempi leggermente diversi. “Molti esemplari maschi seguono rotte e cicli migratori molto simili, ma si spostano separatamente”, afferma Jorgensen.
Quando Simon e Jekyll hanno raggiunto Long Island, i ricercatori hanno notato che i loro percorsi erano notevolmente simili. Poi sono arrivati in Nuova Scozia “praticamente lo stesso giorno”, afferma Hueter: uno strano comportamento per degli squali bianchi. “L’abbiamo notato e ci siamo chiesti: che sta succedendo qui?”
Sebbene si tratti di un caso isolato, la condivisione di un percorso così lungo e per un notevole lasso di tempo è un comportamento che desta attenzione. “Non si tratta di un momento che può essere casuale”, spiega Papastamatiou, “se siete alla guida e 200 metri dietro di voi c’è un auto che fa il vostro stesso percorso dalla Florida a New York, significa che state viaggiando insieme”.
Squali sociali?
I grandi squali bianchi sono generalmente considerati animali piuttosto solitari, ma i ricercatori ritengono che possano manifestare anche comportamenti sociali, come altre specie di squali.
Dato che i pesci non mostrano evidenti comportamenti di cura, come ad esempio il grooming o la cura dei piccoli, i ricercatori determinano i legami sociali misurando se e quanto gli individui trascorrono più tempo insieme di quanto non farebbero per casualità. Uno studio ha rilevato che gli squali non si raggruppano per coincidenza, mentre secondo un altro questi animali rimangono vicini durante le attività di caccia, per poter approfittare degli scarti di cibo dopo le uccisioni.
“Sorprendentemente, le evidenze del fatto che gli squali potrebbero avere comportamenti sociali sono sempre di più”, afferma Papastamatiou. Se quello manifestato da Simon e Jekyll fosse un comportamento di questo tipo, “sarebbe la prima volta in cui si osservano due esemplari [di squalo bianco] raggiungere uno di questi siti insieme”.
Jorgensen ritiene che potrebbero esserci altre ragioni per cui i due squali hanno seguito lo stesso percorso: “questi esemplari potrebbero seguire segnali ambientali e impulsi istintivi simili, che forse li portano a eseguire spostamenti paralleli”, ipotizza Jorgensen.
Hueter spiega che gli squali sono guidati da fattori come la temperatura dell’acqua del mare, la quantità di luce giornaliera e la posizione di luoghi ricchi di certi tipi di prede. Hanno già percorso queste rotte in precedenza, “quindi conoscono la strada”, afferma lo scienziato.
Fratelli di sangue?
Ma rimane un’altra possibilità. I ricercatori stanno eseguendo dei test genetici per scoprire se Simon e Jekyll sono imparentati.
“Se dovessi scommettere, scommetterei che non sono fratelli e che si tratta solo di uno spostamento insolitamente sincronizzato, ma casuale, di questi animali che seguono la loro normale rotta verso nord”, afferma Hueter.
Tuttavia, se dovesse risultare che Simon e Jekyll sono fratelli, ciò potrebbe “rivoluzionare le teorie sulle relazioni tra fratelli in questa specie”, aggiunge l’esperto. “Questo ci porterebbe a riflettere sulle basi genetiche di questi movimenti migratori”.
Anche se sono imparentati, gli squali potrebbero non viaggiare necessariamente insieme; potrebbero semplicemente seguire istinti simili. “Gli individui più strettamente imparentati potrebbero avere una maggiore somiglianza in quelli che sono i tempi e le direzioni dei movimenti migratori”, suggerisce Jorgensen.
Che Simon e Jekyll si spostino insieme intenzionalmente o meno, la loro rotta comune sta svelando nuovi segreti sul comportamento che caratterizza questi superpredatori nei mari.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente in lingua inglese su nationalgeographic.com.
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