Gli animali siamo noi

Andrea Falla

Una delle foto di Leone condivise sui social dai veterinari

Ma come si fa? Come si può prendere un gattino e scuoiarlo vivo, per poi lasciarlo agonizzante in strada? Chi può partorire un’idea simile e, soprattutto, metterla in atto? La storia di Leone, il gatto morto a Cava dei Tirreni, in provincia di Salerno, a causa delle orrende ferite inferte da un “umano” al momento ignoto dopo quattro giorni di sofferenze , fa rabbrividire e allo stesso tempo accende un sentimento di rabbia e sconforto verso ciò che definiamo “umano”. Perché la vera umanità è quella che vediamo negli occhi tristi di Leone, il cui sguardo, nella foto scattata dai volontari, trasmette un immenso senso di gratitudine nei confronti di chi ha provato a salvargli la vita. Un’anima gentile che nonostante l’orrore subito è ancora in grado di comunicare amore a chi lo stava aiutando. 

L’animale, in questo caso (e non soltanto in questo) non è quello steso in una gabbia, con il corpo ricoperto di garze, ma qualcun altro. Quella persona che, per un motivo che sfugge a qualsiasi meccanismo di una mente sana, ha deciso di catturare il piccolo Leone, un gattino randagio di una manciata di chilogrammi, e torturarlo senza pietà. Un gesto sadico e immotivato compiuto contro un essere indifeso e senza colpe. Un destino raccapricciante, da non augurare neanche al peggior nemico, neanche a chi questa violenza l’ha messa in pratica senza battere ciglio. 

Al di là dell’empatia che si può avere nei confronti dei gatti, o degli gli animali in generale, siamo di fronte a un gesto criminale che non può e non deve restare impunito. Perché parliamoci chiaro, chi è stato in grado di ridurre Leone in quelle condizioni ha tutte le carte in regola per essere un soggetto pericoloso per la società. Un “mostro” e non mi vergogno a definirlo tale. I veterinari che hanno curato il gatto e le associazioni animaliste chiedono “giustizia”, ma non sarà certo facile rintracciare chi ha commesso un atto così orribile. 

Un umano vigliacco, che sfoga le sue malate fantasie massacrando un animale indifeso, molto probabilmente non si costituirà di sua spontanea volontà. Adesso ancor di più, visto l’eco che ha avuto la storia di Leone. Una storia che, ancora una volta, ci mostra per come siamo, molto meno umani di quanto vorremmo far credere. Molto meno umani degli stessi animali, che invece sono sempre in grado di insegnarci qualcosa di importante e profondo, anche in situazioni come questa, dove l’unica cosa che emerge è l’orrore. 

Lo dico per esperienza personale, con due anime pure “raccattate” per strada e salvate da morte certa, che adesso mi “concedono” l’onore di vivere sotto il loro stesso tetto e hanno riempito la mia vita di qualcosa di speciale, di cui prima ignoravo l’esistenza. Se incontrate un gatto o un cane, o un altro animale in difficoltà, non giratevi dall’altra parte, guardate per un secondo quegli occhi di una sincerità disarmante. Può sembrare complicato all’inizio, lo so, ma aiutare un essere vivente non potrà soltanto migliorare e allungare la sua vita, ma farà un bene enorme e incalcolabile anche alla vostra anima.

FONTE

Anche gli animali lo fanno strano (il sesso, ovviamente)

Gli animali fanno sesso nei modi più curiosi, con parecchia fatica e a volte rischiando la vita. E ci sono anche delle specie che cercano (e raggiungono) l’orgasmo.

I leoni possono accoppiarsi 50 volte al giorno nei 3-4 giorni in cui la leonessa è in estro. 

Il sesso è tra le cose più diffuse in natura: lo fanno (quasi) tutti, animali, piante, funghi. E per accoppiarsi, gli animali sono disposti a tutto. Ma quali sono gli stratagemmi che adottano per trovare il partner giusto e riprodursi? Sono tanti, diversi, strani e rischiosi. Anche mortali.

LE BOTTE DELL’ELEFANTE MARINO. Per esempio, un maschio dominante di foca elefante deve difendere il suo harem di femmine pestandosi a sangue con i rivali. «E in quel periodo non può andare in mare a mangiare, deve presidiare la spiaggia e le femmine», dice Francesco Ficetola, docente di strategie riproduttive all’Università degli Studi di Milano. Uno studio di Sophia Volzke della University of Tasmania ha visto che i maschi di elefante marino del Sud muoiono prima, perché per mettere su peso restano nei tratti di mare ricchi di cibo ma pieni di predatori. Nulla però a confronto del maschio delle mantidi, che per il sesso perde proprio la testa, visto che la femmina può staccargliela durante la copula se non riesce a fuggire prima. «Gli studi però provano che, se viene mangiato, la femmina ha più risorse e produce più uova», spiega Ficetola.

FIDANZATI (DAVVERO) APPICCICOSI. Alcuni pesci, invece, sono diventati i fidanzati più appiccicosi del mondo animale. In alcune specie di lofiformi, che vivono in abissi dove non è facile incontrarsi tra partner, il maschio segue l’odore di una femmina e si attacca al suo corpo: diventa una propaggine che riceve nutrimento e fornisce sperma. Per qualcuno poi il sesso è l’unico scopo della vita adulta. «Alcune farfalle, dopo la metamorfosi da bruco, non mangiano, vivono pochi giorni e l’unica cosa che fanno è trovare un partner e accoppiarsi», aggiunge Ficetola.

BONOBO, IL SESSO INNANZITUTTO.  Ci sono delle specie, poi, che provano (anche) piacere. I più noti e studiati sono i bonobo. «Tra i bonomi il sesso è pervasivo, non avviene solo nel periodo fertile delle femmine a scopo riproduttivo, ma sempre. Ci sono rapporti tra maschi e femmine e omosessuali, soprattutto tra femmine», spiega Elisabetta Palagi, docente di etologia all’Università di Pisa. «Col sesso si riducono le tensioni sociali e si fanno amicizie. Le femmine che hanno più contatti sessuali tra loro stringono alleanze e ciò significa ottenere aiuto e accesso al cibo, dunque un vantaggio riproduttivo nel lungo termine».

I RATTI HANNO ORGASMI? Gonzalo Quintana Zunino, dell’Universidad de Tarapacá (Cile), ha affrontato il tema in uno studio intitolato I ratti hanno orgasmi? «Non siamo sicuri che gli animali provino un orgasmo. Ma abbiamo identificato nei ratti alcune risposte misurabili simili a ciò che si rileva nell’esperienza soggettiva umana: cambiamenti fisiologici, come le contrazioni dei muscoli nell’area genitale; comportamenti che segnalano uno stato di piacere, come rilassamento o vocalizzazioni (nel sesso i ratti emettono vocalizzazioni ultrasoniche, un riflesso di sensazioni piacevoli: sia le femmine sia i maschi, dopo l’eiaculazione); cambi comportamentali a lungo termine, come l’associazione tra l’esperienza piacevole del sesso e un odore», spiega. «I ratti, come gli umani, provano desiderio sessuale, eccitazione, orgasmo. Per misurare il desiderio addestriamo un ratto ad attendere una partner in una scatola: mentre la aspetta, la sua attività aumenta. L’eccitazione si può misurare dal flusso di sangue ai genitali. Ci sono poi precisi comportamenti: la femmina salta attorno al maschio e muove le orecchie».

Per sapere cosa provano, però, dovremmo chiedere a loro. E non possiamo. «Ma abbiamo osservato che durante il sesso – per esempio quando due femmine si strofinano i genitali – fanno una caratteristica espressione facciale, come una risata a denti scoperti, spesso accompagnata da una tipica vocalizzazione: si pensa siano una indicazione di piacere, se non di orgasmo. Perché altrimenti farebbero sesso? Il vantaggio immediato potrebbe essere proprio il piacere. Possiamo ipotizzare che gli individui a cui piaceva fare sesso abbiano stretto più alleanze, si siano riprodotti di più e il carattere si sia così diffuso nella popolazione», continua Palagi, che in uno studio ha evidenziato l’importanza degli sguardi e delle espressioni facciali. «Nel sesso, faccia a faccia, si guardano negli occhi e replicano l’espressione facciale dell’altro: più lo scambio di sguardi si prolunga, più dura il rapporto».

L’INTERRUTTORE NEL CERVELLO. Ma cosa scatta nel cervello degli animali per “motivarli” al sesso e nell’accoppiamento? «Non si riesce a convincere due bonobo a fare sesso in una macchina per la risonanza magnetica funzionale, come per l’uomo», scherza Palagi. Ma sappiamo, dice Quintana Zunino, che «i segnali viaggiano dai sensi attraverso i nervi e il midollo spinale. Queste connessioni raggiungono aree del cervello che controllano gli organi e orchestrano un gioco di eccitazione e inibizione. Sistemi come quello della ricompensa sono attivati attraverso l’attività dei neuroni che rilasciano dopamina.

Sono quasi le stesse reazioni che vediamo negli umani».

Sempre nei topi è stato identificato uno snodo del desiderio maschile: la trasformazione, nel cervello, del testosterone in estrogeno grazie all’azione di un enzima, l’aromatasi. I topi ingegnerizzati per essere privi di aromatasi erano molto meno interessati al sesso. «Molti ormoni sono implicati nella risposta sessuale degli animali: come l’ossitocina, che facilita il comportamento sessuale ed è legata alla formazione del legame», aggiunge Quintana Zunino. Per esempio, nelle femmine di topo un piccolo gruppo di neuroni risponde all’ossitocina e modula il comportamento nell’estro, rendendo le femmine interessate ad avvicinarsi ai maschi.

ALLA RICERCA DEL PARTNER. Va però fatto un passo indietro. Per arrivare al sesso bisogna trovare un partner. E nel momento giusto. La natura quindi ha elaborato varie strategie. «Che sfruttano i canali sensoriali esistenti, determinati dall’ecologia. Gli uccelli, in gran parte diurni, usano segnali visivi. Negli insetti, adattati a individuare gli odori delle piante nell’ambiente, domina l’olfatto», spiega Pilastro. Un insetto maschio può seguire per chilometri la scia di feromoni, le sostanze usate come messaggi chimici, di una femmina. Ma queste sostanze “richiamano” anche i mammiferi. I maschi di giraffa leccano l’urina delle femmine per individuare i feromoni emessi quando sono disponibili ad accoppiarsi.

LE DUE STRATEGIE: MENARSI O… Infine, il grande problema: la conquista del partner. I maschi hanno due strategie. La prima è menarsi. «Adottata da mammiferi come i cervi e da rettili come i coccodrilli, che si sfidano per controllare un tratto di fiume e accoppiarsi con le femmine che lì si trovano. Conta sia l’essere più grosso, sia la spinta ormonale: il testosterone è legato all’aggressività. Nelle lucertole muraiole per esempio rende più colorati, più aggressivi e pronti a presidiare il territorio», dice Ficetola. Chi vince si accoppia. E migliora la specie? «È quello che pensava Darwin: i maschi più forti hanno geni migliori», puntualizza Pilastro. «In realtà i caratteri di chi vince si diffondono, ma non per forza c’è un vantaggio generale. Quei geni che danno più muscoli o più ormoni maschili sono ottimi per i figli, ma magari rendono le figlie meno fertili».

…. O FARSI PIÙ BELLO. La seconda strategia è mettersi in mostra con colori e canti per essere scelti da una femmina che cerca il compagno più adatto.

«Molti di questi tratti sono “segnali onesti” delle risorse, sia interne (un maschio sano) sia esterne (un buon territorio)», spiega Pilastro. Pensiamo ai colori di vari uccelli maschi. Dal pavone al cardinale rosso, in cui il piumaggio scarlatto è ottenuto con i carotenoidi assunti con la dieta. «Solo un maschio ben nutrito ne ha abbastanza per avere un piumaggio sgargiante. Il forapaglie invece “sfoggia” un canto elaborato, le cui frequenze e complessità sono legate alla ricchezza del suo territorio», conclude Pilastro. «E nei guppy, pesci americani, i maschi hanno macchie arancioni simili a frutti che cadono in acqua. Che le femmine notano». In natura, le sfumature sono ben più di cinquanta.

 La seconda strategia è mettersi in mostra con colori e canti per essere scelti da una femmina che cerca il compagno più adatto. «Molti di questi tratti sono “segnali onesti” delle risorse, sia interne (un maschio sano) sia esterne (un buon territorio)», spiega Pilastro.

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FONTE

QUESTI ANIMALI SONO IN EUROPA DA ALMENO 500.000 ANNI

Ora sappiamo che questi animali sono in Europa da almeno 500.000 anni

Giuseppe Occhiuto

Uno studio pubblicato sulla rivista PLOS ONE da un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza e dell’Istituto di Geologia ambientale e geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha dimostrato la reale comparsa dell’ippopotamo in Italia.

Questa volta non c’è nessuna illusione ottica, ma parliamo in particolare dell’Hippopotamus amphibius. Un cranio rinvenuto nell’area di Tor di Quinto, è stato infatti datato a circa 500 mila anni fa.

L’approccio multidisciplinare applicato allo studio del cranio fossile di ippopotamo è stato fondamentale per ottenere preziose informazioni in merito all’età del reperto e alla sua classificazione tassonomica. Integrando i dati geologici, sedimentologici e cartografici, abbiamo potuto stimare l’età del reperto“, afferma Beniamino Mecozzi ricercatore presso la Sapienza.

L’ ippopotamo in questione risulta essere un maschio di circa 22 anni e l’intero studio riguarda un progetto di restauro dei reperti di grandi mammiferi esposti presso il MUST, ovvero il Museo Universitario di Scienze della Terra di Sapienza.

La diffusione dell’ippopotamo comune in Europa è intimamente legata ai cambiamenti climatici e ambientali avvenuti negli ultimi 800 mila anni, in particolare durante la cosiddetta “Transizione Pleistocene Inferiore–Pleistocene Medio“, periodo in cui si ha la comparsa di animali ancora oggi tra noi come lupi, cervi e cinghiali.

I fossili esposti presso il Museo Universitario di Scienze della Terra di Sapienza rappresentano un patrimonio da tutelare e preservare. I risultati di questo lavoro, oltre alle notevoli ripercussioni scientifiche, offrono nuove preziose informazioni essenziali per una cosciente e più completa divulgazione del patrimonio paleontologico custodito presso il nostro Museo“, conclude il paleontologo e docente universitario, Raffaele Sardella.

Dopo aver scoperto perché il sudore dell’ippopotamo è rossoecco l’ennesima curiosità storica su questi imponenti ma affascinanti animali.

FONTE: JOURNALS

La medicina per allungare la vita ai cani grossi: funzionerà?

I cani di grossa taglia vivono meno di quelli piccoli: una compagnia statunitense sostiene di avere un modo per invertire questa tendenza.

cani grossi vivono meno dei cani piccoli. È una regola (circa) infallibile, e che nei casi più estremi può raggiungere proporzioni altrettanto esagerate, se pensate per esempio che un alano vive dai sei agli otto anni mentre un Chihuahua può arrivare a 20. C’è però una compagnia di biotecnologie con sede a San Francisco che si chiama Loyal to Dogs e che sostiene di aver trovato una soluzione medica a questo problema: un trattamento mirato ad abbassare, nei cani di grossa taglia, il livello di un certo ormone che è legato alla crescita ma, dicono gli esperti di Loyal, anche all’aspettativa di vita. Il farmaco non è ancora in commercio, ma l’FDA (l’ente americano che si occupa tra l’altro di fornire le autorizzazioni a mettere sul mercato un prodotto) ha di recente annunciato che ci sono “ragionevoli aspettative che funzioni”, e ha dato il via libera a ulteriori sperimentazioni.

CONTROLLO ORMONALE. Come detto, il farmaco si basa su un ormone, o meglio sulla sua assenza: si chiama IGF-1 ed  è legato alla crescita e al metabolismo – i cani di grossa taglia ne hanno una concentrazione maggiore, quelli piccoli minore. L’ormone non è presente solo nei cani: in vermi, mosche e roditori, per esempio, la sua inibizione porta a un aumento dell’aspettativa di vita; per noi umani, invece, concentrazioni troppo alte o troppo basse sono direttamente collegate a un aumento della mortalità, e l’ideale è quando IGF-1 è presente in concentrazioni medie. Il trattamento in fase di  sviluppo da parte di Loyal prevede una serie di iniezioni, su base trimestrale o semestrale, con una sostanza che abbassa il  livello di IGF-1.

SPERANZE E DUBBI. Finora, i primi test hanno coinvolto 130 cani di grossa taglia, nei quali Loyal è riuscita a ridurre il livello di IGF-1 fino ai valori tipici di un cane di media taglia, e senza troppi effetti collaterali (a parte due esemplari che hanno sofferto di diarrea per un paio di giorni). Nel 2024 dovrebbe partire uno studio su numeri più importanti (almeno 1.000 esemplari), con l’obiettivo di mettere in commercio il farmaco nel 2026. Non tutti comunque sono convinti dell’efficacia del trattamento, principalmente perché non è detto che la crescita dei cani sia legata solo a un singolo ormone, come dimostra per esempio questo studio di un mese fa che identifica un altro possibile fattore, il gene ERBB4. I prossimi anni ci diranno chi ha ragione.

Gabriele Ferrari

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