Perché il Mio Cane Puzza?

La percezione degli odori è senz’altro soggettiva: ciò che per qualcuno ha un cattivo odore, per un altro non lo è.

Per esempio, l’odore del cane sano può essere percepito in modo gradevole oppure essere considerato anche insopportabile; in ogni caso gli odori naturali dei cani hanno la funzione di riconoscimento degli individui e di marcatura del territorio.

Va sottolineato che un odore intenso può spesso essere dovuto anche a una cattiva toelettatura negli esemplari a pelo lungo, folto o cordato, che può causare la formazione di odori sgradevoli nel mantello.

Inoltre se il pelo non è mantenuto pulito e curato può intrappolare sporcizia e altre sostanze dall’odore sgradevole.

Le cose cambiano se l’odore del cane è causato da condizioni patologiche, che in alcuni casi conferiscono al cane un odore sgradevole, e possiamo oggettivamente parlare di puzza del cane1.

Se ti stai chiedendo “Perché il mio cane puzza così tanto?”, i motivi possono quindi essere diversi.

Motivi della puzza del cane legati a condizioni patologiche

Alcune malattie della pelle possono causare un maggiore o anomalo odore del cane. L’allergia può causare un aumento della produzione di sudore apocrino2, che conferisce un odore di muffa.

Questa condizione, definita iperidrosi, può favorire un’infezione cutanea da lieviti o batteri e anche questi microrganismi producono odori.

I cani con seborrea o difetto di cheratinizzazione e quelli con pieghe cutanee profonde (come il muso di un bulldog) sono molto inclini alla proliferazione secondaria di batteri o lieviti sulla superficie cutanea, che possono causare la puzza del cane.

Le malattie dell’orecchio (otiti) possono essere all’origine di odori che variano da quelli di lievito a quelli di liquami, poiché il cerume o il pus si accumulano nel condotto uditivo malato.

I cani, come tutti i carnivori, possiedono anche due sacche anali, o ghiandole odorose. Questi sacchi comunicano con la superficie della pelle tramite condotti che si aprono su entrambi i lati dell’ano. Le sacche sono rivestite da ghiandole apocrine e sebacee.

Esse producono una secrezione naturale che varia da sottile e giallastra a pastosa e grigiastra; la secrezione ha un odore muschiato molto forte.

Le malattie del sacco anale o l’eccessiva produzione di secrezioni possono causare un odore pungente e di muffa. I sacchi anali possono diventare ascessi e i microrganismi infettivi producono l’odore.

La puzza del cane può anche essere causata da alito cattivo. Le cause più comuni di alitosi3 nei cani sono le seguenti:

  • Problemi paradontali

Un cane con alito che puzza può soffrire di disturbi del cavo orale, come carie, gengivite e infezioni batteriche. Queste condizioni possono causare alito cattivo a causa dell’accumulo di placca batterica, della carie o dell’infiammazione delle gengive;

Leggi anche: In Che Modo una Cattiva Salute Orale, Può Abbreviare la Vita del Tuo Animale Domestico

  • Infezioni virali o batteriche

La tonsillite o la faringite, ad esempio, possono generare alitosi perché provocano l’infiammazione della gola e della bocca, contribuendo al cattivo odore dell’alito

  • Malattie gravi

Le malattie gravi, come i tumori o il diabete, causano effetti sistemici che possono provocare l’alito che puzza soprattutto nel cane anziano.

  • Disturbi gastrointestinali e problemi digestivi

L’apparato digerente può avere un impatto sull’alito del cane. Disturbi gastrointestinali, cattiva digestione o problemi alimentari possono causare alito del cane che puzza.

  • Coprofagia

I cani possono anche acquisire un alito maleodorante come risultato della coprofagia, la pratica di mangiare le proprie feci o quelle di altri animali. Per cercare di ovviare a questo problema, è possibile acquistare additivi alimentari preparati in commercio che, aggiunti al cibo del cane, conferiscono un sapore amaro alle sue feci, riducendo così la tendenza a consumare le proprie feci.

  • Antibiotici

Gli antibiotici possono produrre causare la puzza del cane odori che i proprietari possono trovare sgradevoli.

  • Ingredienti alimentari

Alcuni ingredienti del cibo per cani, in particolare la farina di pesce o l’olio di pesce, possono produrre nel cane alito che puzza e odori cutanei.

La puzza del cane può essere anche dovuta a flatulenza4, legata alla dieta o a una malattia gastrointestinale., che causano emissioni di gas dall’odore sgradevole.

Conclusioni

Se il tuo cane puzza, è meglio evitare di coprire l’odore con disinfettanti o deodoranti che possono solo far male alla tua bestiola.

Poiché le cause della puzza del cane possono essere diverse, occorre rivolgersi al veterinario, che dopo un’approfondita visita deciderà il trattamento opportuno per ristabilire la salute del tuo amico a quattro zampe.

FONTE

Riferimenti:

  1. https://www.veterinariapiazzabologna.it/2021/05/31/cattivo-odore-del-cane-perche/
  2. https://www.difossombrone.it/dermatologia/main17odoredeicani.htm
  3. https://www.efarma.com/consigli/alitosi-del-cane-cosa-dargli/
  4. https://avanzimorivet.it/index.php/home/cane/flatulenza-nel-cane/

Sono un cane del 21° secolo.

Sono un Malinois.
Sovradotato tra i cani, brillo in tutte le discipline e sono sempre pronto a lavorare.
Oggi mi chiedono di rilassarmi sul divano tutto il giorno tutti i giorni.

Sono un Akita Inu.
I miei antenati sono stati selezionati per la lotta tra cani.
Oggi mi chiedono di essere tollerante e mi si rimprovera la mia reattività quando uno di loro si avvicina a me.

-Sono un Beagle.
Quando inseguivo la mia preda, davo voce, così i cacciatori potevano seguirmi.
Oggi mi si mette un collare elettrico per stare zitto, e vorremmo che tornassi al richiamo con uno schiocco di dita.

-Sono uno Yorkshire gTerrier.
Ero un terrificante cacciatore di ratti nelle miniere inglesi.
Oggi si pensa che non sia in grado di usare le mie zampe e mi tengono sempre tra le braccia.

-Sono un Labrador Retriever.
La mia visione della felicità è un tuffo in uno stagno per riportare al mio padrone l’anatra a cui ha sparato.
Oggi ci siamo dimenticati che sono un cane da movimento e grandi corse, sono grasso e devo fare la tata dei bambini.

Sono un Jack Russel.
Sono in grado di affrontare una volpe un tasso e un ratto più grande di me nella sua tana.
Oggi mi rimproverano per il mio maledetto carattere e vorrebbero trasformarmi in un cane da salotto.

Sono un Husky Siberiano.
Ho conosciuto i grandi spazi della Russia settentrionale, dove potevo trainare slitte a velocità impressionante.
Oggi ho come solo orizzonte solo le pareti del giardino, e per sola occupazione i buchi che scavo nel terreno.

-Sono un Border Collie.
Sono fatto per lavorare otto ore al giorno, e sono un artista inconfondibile del lavoro con il gregge.
Oggi sono arrabbiati con me perché, per mancanza di pecore, cerco di controllare biciclette, auto, bambini di casa e tutto ciò che è in movimento.

Io sono…
Sono un cane del 21° secolo.
Sono bello, sono allerta, sono ubbidiente, sto in una borsa…
ma sono anche un individuo che ha bisogno di esprimere i propri istinti, e non sono adatto alla vita sedentaria che vorresti farmi condurre.
Passare otto ore al giorno da solo in giardino, vederti un po’ la sera quando torni a casa e avere diritto solo a una piccola passeggiata igienica mi renderà profondamente infelice.
Lo esprimerò abbaiando durante tutto il giorno, trasformando il tuo giardino in un campo minato, facendo i miei bisogni dentro casa, essendo ingestibile le rare volte che mi ritroverò fuori e, a volte, passando le mie giornate affondato sul mio cuscino.
Penserai allora che sono felice di poter godere di tutta questa comodità mentre vai a lavorare: in realtà sarò in esaurimento, perché questo male non è appannaggio dell’umano ma anche del cane del 21° secolo.
Se ti piaccio, se mi sogni da sempre, se i miei bellissimi occhi azzurri o il mio look da atleta mi fanno desiderare, ma non puoi regalarmi una vera vita da cani, una vita che vale davvero la pena di essere vissuta, e se non puoi offrirmi il lavoro che i miei geni chiedono, allora rinuncia a me.
Se ti piace il mio aspetto ma non sei disposto ad accettare i miei tratti di carattere derivati da una rigorosa selezione genetica e pensi di poterli cambiare con la tua unica buona volontà, allora rinuncia a me.
Sono un cane del 21° secolo, sì,ma in fondo a me, dorme ancora colui che combatteva, colui che cacciava, colui che tirava slitte, colui che guidava un gregge.
E prima o poi, nel bene o nel male, si sveglierà.
E allora cosa farai?
Mi cederai?
Mi abbandonerai?
O mi sopprimerai?

Dal Web

La salute dell’uomo dipende dal benessere degli animali

Francesco Origgi, direttore dell’Istituto di microbiologia della SUPSI, racconta il lavoro prezioso svolto a Mendrisio

Mauro Spignesi

In inglese è One Health. Ed è un concetto semplice: se gli animali sono sani e se l’ambiente sta bene, i rischi per la salute dell’uomo diminuiscono. «Perché i tre mondi (animale, natura e uomo) sono strettamente interconnessi e non è possibile affrontare le sfide che abbiamo davanti senza tenere in considerazione questo approccio interdisciplinare», spiega il professor Francesco Origgi, direttore dell’Istituto microbiologia in seno al Dipartimento ambiente e costruzioni della SUPSI.

Origgi, microbiologo e patologo veterinario, ha lavorato per 14 anni a Berna (dove ha insegnato, è anche ordinario di malattie infettive a Messina) e prima ancora all’Università della Florida, dove ha collaborato anche con la Disney Corporation (come patologo al Disney’s Animal Kingdom), ha firmato numerose pubblicazioni scientifiche e da marzo è a capo dell’istituto con sede nel Campus SUPSI di Mendrisio, il grande edificio dietro la stazione dove quando si entra si apre un mondo nuovo. «In effetti anche io sono rimasto sorpreso la prima volta che sono venuto qui per il colloquio», racconta nel suo ufficio di fronte ai laboratori dove i ricercatori si alternano tra provette e microscopi.

I viaggi turistici portano malattie

Quello che viene fatto a Mendrisio è un lavoro prezioso. Basta pensare alle ultime notizie che riguardano ad esempio la febbre dengue o il vaiolo delle scimmie, malattie causate da virus con origini lontane dai nostri territori, ma che adesso bussano letteralmente alle nostre porte. Anche da noi per effetto del cambiamento climatico e della tropicalizzazione molte specie, soprattutto insetti, hanno trovato un habitat in zone un tempo per loro «poco ospitali».

«Oggi un agente patogeno-infettivo – spiega Origgi – viaggia velocemente. Tante mete turistiche sono diventate accessibili a tutti. Basta che qualcuno vada in un paese straniero dove certi agenti e patologie sono endemici e contragga una malattia e quando torna venga punto da una zanzara (come quella tigre da tempo diffusa anche da noi) per mettere a rischio decine di persone. Il nostro compito quando scatta questo allarme è, in collaborazione con il medico cantonale, individuare la zona, eliminare puntualmente con trattamenti specifici le zanzare «locali», i «vettori», dunque impedire il diffondersi del virus e tenere la situazione sotto controllo».

La malaria in Centro America e le rane

Ecco perché il concetto One Health è importante. «Racconto un altro caso: in centro America – dice Origgi – era stato registrato un aumento significativo di casi di malaria. Alla fine si è capito che tutto era legato a un fungo che aveva provocato una strage di rane locali che si cibavano degli insetti. Senza di loro gli insetti si erano moltiplicati e avevano contribuito a veicolare l’agente responsabile della malattia. La natura è straordinaria, ma ha un suo preciso equilibrio che non va alterato». Invece il confine tra città e campagna è sempre più labile. «In Florida anni fa un uragano ha distrutto uno stabile dove venivano stoccati gli animali d’importazione. C’era di tutto. Molti sono fuggiti e poi si sono diffusi creando problemi».

Se pensiamo al Ticino vediamo che nei laghi ci sono specie mai viste in passato, come il pesce siluro. «Abbiamo – avverte Origgi – anche la presenza di tartarughe esotiche acquistate nelle fiere o nei negozi specializzati magari per accontentare i bambini e poi abbandonate. È una presenza che altera l’habitat acquatico e riduce le specie di tartarughe locali. Pensiamo, ancora, ai cinghiali molto diffusi e avvistati vicino ai centri abitati, possono diffondere malattie, come la peste suina».

Il lavoro sul fronte della Biosicurezza

Nel Laboratorio della SUPSI, che occupa una cinquantina di professionisti, si fa innanzitutto ricerca e si erogano importanti servizi per il territorio (molti docenti sono impegnati anche nell’insegnamento), con mandati cantonali e federali, si lavora con aziende locali, in cinque aree principali, articolate sempre con un approccio One Health in Dipartimenti e istituti: Biosicurezza, Biotecnologie ambientali, Ecologia dei vettori, Ecologia microbica e Igiene a ambiente. «La Biosicurezza – spiega il professor Origgi – si occupa del rischio biologico, che si può spiegare con il classico esempio del bioterrorismo, quando viene recapitata una busta con polvere sospetta che potrebbe essere un agente patogeno come l’antrace. In questo caso noi interveniamo su richiesta della Polizia con il nostro laboratorio di Bellinzona».

Per quanto riguarda l’Ecologia dei vettori, invece, viene monitorato il territorio e allestiti trattamenti specifici contro gli insetti che potrebbe diffondere malattie, come le zanzare tigre. È interessante il lavoro che viene svolto dall’area Ecologia microbica. «È la divisione che si occupa – spiega il direttore del Laboratorio – degli ambienti acquatici e di come i microrganismi che vi abitano interagiscono tra loro e l’ambiente. Ad esempio studiamo il Lago di Cadagno dove è presente la stazione scientifica gestita dalla Fondazione Centro Biologia Alpina (CBA). Cadagno è un lago “meromittico” dove l’acqua si stratifica in compartimenti che non si mischiano tra loro e questo ambiente unico consente la sopravvivenza di organismi primordiali, è dunque molto particolare come è stato spiegato in un video di TED-ed, con milioni di visualizzazioni».

La divisione Igiene e ambiente, inoltre, lavora sull’identificazione di microrganismi che vengono isolati in realtà diverse e, altra attività, studia la resistenza agli antibiotici in ambito ambientale che include l’analisi delle acque. Infine, ecco la Divisione di Biotecnologia, che collabora con l’industria per il trattamento delle acque reflue e l’ottenimento di biogas dalle biomasse. «Ma non solo – precisa Origgi – perché grazie a mandati privati mandiamo avanti interessanti progetti legati all’energia e alla farmaceutica».

FONTE

In che modo alcuni minuscoli animali sono stati capaci di evitare la propria estinzione?

I tardigradi sono riusciti a resistere a disastri naturali – che hanno portato all’estinzione di altre specie – grazie alla criptobiosi: l’interruzione temporanea e quasi completa dei processi corporei.

I tardigradi moderni (Milnesium sp. in figura) sono noti per le loro capacità di sopravvivenza, ma questi animali compaiono raramente nella documentazione fossile.

FOTOGRAFIA DI Ruben Duro / SCIENCE PHOTO LIBRARY (MICROGRAFIA)

I tardigradi sono dei sopravvissuti. Per oltre 500 milioni di anni queste creature microscopiche si sono diffuse su tutto il pianeta e hanno sopportato alcune delle condizioni più difficili che la Terra possa offrire. Ora una nuova analisi di antichi tardigradi conservati in un pezzo di ambra del Cretaceo non solo ha chiarito la cronologia della loro evoluzione, ma suggerisce come questi minuscoli animali siano stati in grado di sopravvivere a disastri che hanno portato altre forme di vita all’estinzione.

I minuscoli esseri sono rimasti intrappolati nella linfa degli alberi nel Canada preistorico tra 83 e 72 milioni di anni fa, quando i tirannosauri e i dinosauri cornuti si aggiravano nelle stesse foreste di conifere. Uno di questi tardigradi è una specie in cui i paleontologi si erano già imbattuti. Chiamato Beorn leggi, è la prima specie fossile mai scoperta dalla scienza. Ma Marc Mapalo, paleontologo di Harvard, e i suoi colleghi hanno trovato anche una seconda specie mai vista prima, Aerobius dactylus. I ricercatori le hanno dato un nome e l’hanno utilizzata, insieme ad altre poche specie antiche conosciute dalla scienza, per analizzare la storia evolutiva dei tardigradi in un articolo uscito su Communications Biology all’inizio di agosto.

Fossilizzati all’interno dell’antica resina arborea che forma l’odierna ambra, i due tardigradi attendevano da decenni di poter essere osservati. Quando lo descrissero per la prima volta nel 1964 i paleontologi riuscivano a distinguere a malapena il fossile di B. leggi nell’esemplare canadese. Ora, grazie a una migliore tecnologia di imaging, Mapalo e colleghi sono riusciti a ottenere un’immagine molto più dettagliata.

“Negli ultimi 60 anni molti studiosi di tardigradi si sono occupati di questi fossili, ma c’era un limite difficile da superare perché i tardigradi erano molto piccoli e un po’ oscurati dall’ambra”, dice Phil Barden, biologo del New Jersey Institute of Technology, che non ha partecipato al nuovo studio. Gli animali sono così piccoli, osserva, che i minuscoli artigli delle loro zampe sono larghi circa un decimo di un capello umano.

Solo l’ambra può conservare i tardigradi in modo così dettagliato. La rarità dei fossili di tardigradi, tuttavia, non è attribuibile solo alle loro piccole dimensioni. Sono pochi i paleontologi che studiano i tardigradi fossili, afferma Mapalo, sottolineando che alcuni colleghi restano sorpresi dallo scoprire che si conoscano dei tardigradi fossili. Le moderne tecniche di imaging possono aiutare ora gli esperti a estrarre nuove informazioni da campioni di ambra raccolti in passato.

Uno sguardo più approfondito

Mapalo e i suoi coautori si sono avvalsi di una tecnica chiamata microscopia a fluorescenza confocale per creare immagini ad alta risoluzione delle minuscole creature. Gli esperti hanno scoperto che le due specie fossili di tardigradi presenti nel campione di ambra non esistono più oggi, ma appartengono entrambe a famiglie di tardigradi ancora esistenti.

Confrontando i fossili canadesi e altri due rinvenuti nel New Jersey con i dati molecolari delle specie viventi, Mapalo e i suoi colleghi sono riusciti a stimare quando i tardigradi si sono evoluti e quando hanno acquisito una delle loro abilità più notevoli.

Molti tardigradi sono capaci di criptobiosi, un rallentamento temporaneo e quasi completo dei processi corporei. In questo stato di vita sospesa, le creature si liberano dell’acqua e si raggomitolano in palline. Oltre a trasportare una proteina che protegge il loro DNA dai danni, la capacità di “spegnersi” in attesa di condizioni migliori li ha aiutati a sopravvivere in ambienti estremi, persino nel vuoto dello spazio, e potrebbe aiutarli a resistere a una futura apocalisse.

Mapalo e colleghi propongono che almeno due grandi gruppi di tardigradi abbiano evoluto le loro capacità criptobiotiche in modo indipendente, uno acquisendo la criptobiosi tra 430 e 175 milioni di anni fa e un altro facendolo tra 382 e 175 milioni di anni fa. Altri fossili potrebbero aiutare a mettere a fuoco la tempistica esatta, ma i ricercatori fanno notare che questo arco di tempo preistorico è significativo perché comprende diverse estinzioni di massa. I tardigradi in grado di entrare in una forma di stasi fino a quando le condizioni non si fossero ristabilite sarebbero stati in grado di sopravvivere meglio alle cadute nei livelli di ossigeno, ai cambiamenti climatici e ad altre pressioni associate a questi disastri globali.

“Sapere quando la criptobiosi si è evoluta nei tardigradi può aiutarci a contestualizzare come e perché abbiano acquisito questo meccanismo”, spiega Mapalo. È probabile che i tardigradi si siano evoluti nei mari prima di diffondersi sulla terraferma. Le capacità criptobiotiche avrebbero questi animali a sopravvivere ai cambiamenti dei livelli di sale quando si sono spostati dal regno marino ad habitat pieni di muschi e licheni che si fondavano sull’acqua dolce.

Per stabilire con esattezza in che modo la criptobiosi abbia contribuito alla loro sopravvivenza e alla loro storia evolutiva saranno necessarie ulteriori ricerche. “È divertente immaginare la criptobiosi come una sorta di trucco magico che i tardigradi hanno usato per sfuggire all’estinzione”, dice Barden, ma fa notare che altri gruppi di invertebrati sono riusciti a sopravvivere alla catastrofe anche senza questa capacità.

Un maggior numero di tardigradi fossili aiuterà a verificare l’ipotesi che la criptobiosi abbia aiutato i tardigradi a sopravvivere alle estinzioni di massa, e nuove specie sono quasi certamente in attesa di essere scoperte. “Ogni volta che ne ho l’occasione, dico sempre a chi lavora con l’ambra di controllare se i loro campioni contengono tardigradi”, dice Mapalo. Barden è d’accordo. “Quasi certamente ci sono altri tardigradi fossili in attesa di essere scoperti nelle collezioni museali”, afferma, “probabilmente sepolti nell’ambra accanto a una mosca o a un coleottero relativamente gigantesco”.

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