Avvelenamenti animali

il punto di vista di medici veterinari e forze dell’ordine per migliorare le strategie di gestione dei casi sul territorio

Gli avvelenamenti degli animali rappresentano una sfida complessa che non riguarda solamente la vita e il benessere degli animali domestici e selvatici, ma si ripercuote anche sulla salute umana e sulla sicurezza del territorio. Nonostante le numerose azioni a livello normativo e l’istituzione nel 2019 del Portale nazionale degli avvelenamenti dolosi degli animali, gestito dal Centro di referenza nazionale per la Medicina Forense Veterinaria (CeMedForVet) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lazio e Toscana, il fenomeno è ancora presente sul territorio.
Per raccogliere la complessa sfida degli avvelenamenti animali è importante: 1) conoscere e analizzare il punto di vista dei diversi attori coinvolti nella segnalazione e nella gestione dei casi di avvelenamento sul territorio; 2) individuare le criticità associate al processo e raccogliere indicazioni di miglioramento.

Sono questi gli obiettivi di uno studio sociale condotto dall’Osservatorio IZSVe nel contesto del progetto di ricerca RC 11/20 “Strumenti di profilazione geografica e di operatività sul campo a supporto delle misure di prevenzione e repressione degli avvelenamenti dolosi negli animali – GEOCRIME”, svolto in collaborazione con il CeMedForVet.

Lo studio dell’IZSVe ha evidenziato una serie di sfide complesse e ha offerto spunti interessanti per migliorare il sistema di gestione degli avvelenamenti. Ne è emerso un quadro chiaro di conclusioni concordi: dal rafforzamento del sistema di segnalazione e prevenzione, al potenziamento della formazione e della comunicazione tra le diverse istituzioni coinvolte. Un punto, quest’ultimo, che prevede un ruolo attivo dei medici veterinari non solo come professionisti che gestiscono gli avvelenamenti, ma anche come figure chiave nella sensibilizzazione e nell’educazione della comunità.

Tutti sono concordi sull’urgenza di un approccio integrato e cooperativo nella lotta contro gli avvelenamenti dolosi degli animali. Affrontare queste sfide richiede un impegno congiunto tra medici veterinari, forze dell’ordine, amministrazioni locali e comunità, al fine di garantire la sicurezza degli animali, la salute pubblica e la tutela degli ecosistemi. Il cammino da percorrere è ancora lungo, ma le indicazioni provenienti dalla ricerca offrono una direzione chiara e strategie praticabili per proteggere la salute pubblica.

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Quanti e quali animali sono raffigurati sulle banconote nel mondo?

Quanti e quali animali sono raffigurati sulle banconote nel mondo?Uno studio ha esaminato oltre 4.500 banconote di 207 paesi, identificando 352 specie animali raffigurate. Gli uccelli e i mammiferi sono i più rappresentati e un terzo delle specie sono minacciate, evidenziando l’importanza percepita della conservazione della fauna.

di
SALVATORE FERRARO

Monete e banconote sono da sempre uno dei simboli più tangibili dell’identità e dei valori di un paese. I disegni stampati raffigurano infatti molto spesso monumenti, personaggi politici e simboli socio-culturali. Tuttavia, è stata prestata poca attenzione sull’importanza della natura e della fauna selvatica raffigurata sulle banconote e su come queste possano contribuire all’identità nazionale e alla promozione dei valori della conservazione delle specie.

Per colmare questa lacuna, un gruppo di ricercatori guidati dalla Griffith University, ha quindi realizzato una vera e propria analisi tassonomica degli animali selvatici raffigurati sulle banconote di tutto il mondo, per capire dove e soprattutto quali sono le specie più rappresentate. Ne è uscito fuori uno studio molto dettagliato recentemente pubblicato sulla rivista People and Nature.

Gli autori hanno esaminato oltre 4.500 banconote stampate tra il 1980 e il 2017 in ben 207 paesi sparsi in tutto il mondo, identificando e caratterizzando le specie animali rappresentate. Sono stati individuate 883 raffigurazioni di animali su 689 banconote in totale, tuttavia non è stato possibile sempre identificare le specie. Per esempio, piccioni o cervi generici sono stati eliminati dallo studio.

Il campione finale includeva quindi 841 raffigurazioni in cui è stato invece possibile identificare ben 352 specie uniche (il 95% autoctone dei paesi), presenti su circa il 15,2% delle banconote analizzate. Gli hotspot geografici e i modelli tassonomici osservati nell’iconografia della fauna sulle banconote, corrispondono in buona parte con gli hotspot di biodiversità presenti sul pianeta.

Le specie terrestri sono quelle che dominano le raffigurazioni, rappresentando ben l’89% di tutte le immagini. Tutto questo, nonostante le nazioni insulari e i paesi con grandi tratti di costa siano quelli che più spesso raffigurano animali sulle proprie banconote. Senza troppe sorprese, gli uccelli (195 specie) e i mammiferi (96 specie) sono i gruppi animali più rappresentati.

Anche la biogeografia riflette queste tendenze, con l’Africa rappresentata soprattutto da grandi mammiferi terresti (con l’elefante e il bufalo africano africano presenti in ben 11 paesi diversi) e il Sud America che preferisce invece gli uccelli. Per quanto riguarda le specie considerate minacciate, invece, queste rappresentavano quasi un terzo (il 30%) di tutti gli animali, evidenziando il valore perlomeno percepito della conservazione di queste specie.

Gli autori sottolineano però che c’è ancora una tendenza continua a rappresentare soprattutto i grandi animali più carismatici, come elefanti, leopardi, leoni, aquile e falchi, con alcuni gruppi che risultano pesantemente sotto-rappresentati, come anfibi, rettili, pesci e soprattutto invertebrati, con appena 15 raffigurazioni in totale tra specie terrestri e acquatiche.

I ricercatori propongono inoltre diversi spunti per ulteriori indagini volte a esplorare, per esempio, le relazioni tra valore percepito e rappresentazione della fauna selvatica, oppure su come gli animali cambiano nel tempo e quali sono i processi decisionali che portano a scegliere questa o l’atra specie da raffigurare su monete o banconote.

Sempre secondo gli autori, la rappresentazione della fauna selvatica sulle banconote non solo celebra la biodiversità e l’identità di un paese, ma può anche fungere da potente strumento educativo promozionale per la conservazione delle specie. In un mondo dove la natura è sempre più minacciata, queste raffigurazioni possono ricordarci l’importanza di proteggere il nostro patrimonio naturale per le generazioni future.

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Amate gli animali!

“Amate gli animali: Dio ha donato loro i rudimenti del pensiero e una gioia imperturbata. Non siate voi a turbarla, non li maltrattate, non privateli della loro gioia, non contrastate il pensiero divino. Uomo, non ti vantare di superiorità nei confronti degli animali: essi sono senza peccato, mentre tu, con tutta la tua grandezza, insozzi la terra con la tua comparsa su di essa, e lasci la tua orma putrida dietro di te; purtroppo questo è vero per quasi tutti noi !”

Tratto da “I fratelli Karamazov” di Fëdor Dostoevskij (1821-1881), scrittore e filosofo russo.

Gli animali hanno la coscienza? Cosa dicono gli scienziati

Rebecca Manzi

Gli scienziati sono concordi sul fatto che gli animali abbiano la coscienza: ci sono infatti numerose prove a riguardo e alcune Dichiarazioni lo sostengono

animali domestici

@tatyanagl/123rf

La questione della coscienza negli animali ha ricevuto recentemente un’importante attenzione scientifica negli ultimi anni. La coscienza è un concetto complesso e difficile da definire in modo univoco. Generalmente si riferisce alla capacità di un essere vivente di avere esperienze soggettive, che spaziano dalla percezione del mondo esterno alle riflessioni interne sui propri pensieri e sentimenti.

Recentemente, la rivista New Scientist ha descritto la coscienza come “qualsiasi tipo di esperienza soggettiva”, ma riconosce che non possiamo accedere direttamente alla mente di un altro essere per confermare queste esperienze.

Per valutare la coscienza negli animali, gli scienziati considerano cinque aspetti fondamentali: la sensibilità sensoriale, la capacità di discernere tra bene e male, l’integrazione delle informazioni sensoriali in un’esperienza coerente, l’influenza del passato sul comportamento attuale e il senso di individualità.

La Dichiarazione di New York sulla coscienza animale

Alcuni animali, come i corvi, dimostrano di apprendere dalle esperienze passate, mentre polpi e api sembrano provare piacere attraverso il gioco, suggerendo una certa esperienza cosciente. Ragionando su queste informazioni, oltre 300 scienziati hanno firmato una dichiarazione congiunta.

Questo documento, noto come Dichiarazione di New York sulla coscienza animale, offre un supporto significativo all’idea che anche gli animali possano possedere una forma di coscienza. Ma cosa implica questa affermazione e quali sono le basi scientifiche che la sostengono?

Uno dei test più noti per valutare la coscienza è il “test dello specchio”, che misura la capacità di un animale di riconoscere se stesso nel riflesso. Questo test ha mostrato risultati interessanti: mentre alcuni pesci hanno superato il test, altri animali come i cani non sembrano mostrare lo stesso livello di auto-riconoscimento.

La Dichiarazione di New York si basa su queste e altre osservazioni per sostenere che i mammiferi e gli uccelli possiedono una forma di esperienza cosciente, mentre pesci, anfibi, rettili e alcuni invertebrati potrebbero avere una coscienza a un livello più basilare. Questo supporto scientifico amplia il concetto di coscienza, riconoscendo che non siamo gli unici esseri viventi con esperienze soggettive e riflessioni interiori.

Il dibattito scientifico sull’argomento si era arricchito in precedenza con la Dichiarazione di Cambridge del 2012, che ha evidenziato come le strutture neurologiche necessarie per la coscienza non siano esclusive degli esseri umani. Così, alla luce di queste scoperte, è sempre più evidente che la coscienza non è una caratteristica unica dell’umanità, ma una qualità che potrebbe estendersi a molte altre forme di vita.

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Lav: «Quasi 2 milioni di animali uccisi in Italia dal 2019 al 2022 per fini sperimentali. La ricerca deve guardare all’Ue»

di Silvia Morosi 

Il report della Lega Antivivisezione dopo avere consultato i dati pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Secondo le statistiche, ogni anno, in media, circa 482mila cani, conigli, maiali, scimmie o topi sono utilizzati per test di laboratorio

Lav: «Quasi 2 milioni di animali uccisi in Italia dal 2019 al 2022 per fini sperimentali. La ricerca deve guardare all'Ue»

Dal 2019 al 2022 sono quasi 2 milioni gli animali soppressi nei laboratori. È quanto emerge dai dati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n.158 del 08-07-2024 e visionati dalla Lega Antivivisezione. La media annuale continua a essere altissima e supera i 482mila individui utilizzati e uccisi per fini sperimentali. In particolare, si è passati da 548.933 animali nel 2019 – anno record – a 451.991 nel 2020, con una lieve flessione probabilmente legata all’emergenza Covid. Nel 2021 il numero ha nuovamente superato il mezzo milione, tornando a 512.296, mentre nel 2022 è sceso a 420.506.

Preoccupante il ricorso ai cani, specie particolarmente protetta e a cui si potrebbe ricorrere solo in condizioni eccezionali, con ben 2.323 cani uccisi dal 2019 al 2022 (qui la storia di Jordan, il beagle utilizzato nelle sperimentazioni farmaceutiche che ha trovato casa). Oltretutto tale specie è spesso utilizzata per test particolarmente invasivi di tossicologia, resistenza cardiaca e impianti o interventi dentali nelle ossa. Tali vincoli legali valgono anche per i primati, ma le statistiche mostrano come il numero di quelli sfruttati continui ad essere altissimo, nonostante non solo i limiti normativi, ma anche le comprovate vicinanze comportamentali con l’uomo: delle 1.579 scimmie impiegate nei test solo 16 provenivano da allevatori registrati in Unione europea, come richiesto dalla Direttiva dell’Unione europea, mentre tutti i restanti sono stati importati da Paesi poveri e noti per caccia illegale e devastazione delle aree boschive, come Asia e Africa e Sud-America.

Dei 1.933.726 animali uccisi ai fini della sperimentazione, solo il 28%, (691.014) è usato per fini regolatori, cioè per rispondere a obblighi di legge. Da questo importante dato la conferma di come si potrebbe, e dovrebbe, lavorare per un drastico numero di animali utilizzati nei laboratori. A essere inaccettabile, poi, prosegue la Lav, è la presenza di 5.017 animali ancora utilizzati per l’istruzione e la formazione, nonostante nel nostro Paese sia vietato utilizzare procedure didattiche su animali – in deroga solo per l’alta formazione universitaria – e sia vigente, già dal 1993, la legge sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale. Infine, oltre il 50% degli animali viene impiegato per gli esperimenti più dolorosi, con sofferenza o angoscia intensi, come nel caso di fratture instabili, toracotomia senza somministrazione di analgesici, uso di gabbie metaboliche con limitazione grave del movimento per un lungo periodo, scosse elettriche o trapianti di organi con gravi effetti avversi dovuti al rigetto (tali esempi sono ripresi dal decreto stesso legiferante in materia). A questi numeri altissimi,  «si aggiungono rinnovi di progetti che sono dei semplici copia-incolla dei precedenti senza le adeguate valutazioni sul rapporto danno-beneficio: il risultato è un sistema che utilizza e uccide centinaia di migliaia di animali ogni anno, oltretutto per dati non predittivi, come dimostra il fatto che oltre il 95% della sperimentazione animale fallisce se applicata all’uomo. È urgente una transizione della ricerca biomedica verso tecnologie basate su modelli human-based, non solo per salvare gli animali, ma anche per comprendere e curare le malattie che affliggono l’uomo», dichiara Michela Kuan, responsabile scientifico area ricerca senza animali Lav, rinnovando l’appello alla ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, per chiedere che almeno l’1% dei fondi stanziati dal Pnrr sia destinato allo sviluppo e all’implementazione di modelli animal-free, perché l’unica vera scienza è quella senza animali.

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