Risale a 565 milioni di anni fa uno dei momenti-chiave per l’evoluzione della vita sulla Terra, cioè il passaggio dagli organismi formati da una singola cellula a quelli più complessi, costituiti da più cellule.
Questa datazione così accurata è stata ottenuta per la prima volta analizzando alcuni dei fossili più antichi del pianeta provenienti dal Galles, nel Regno Unito. Il risultato, pubblicato sulla rivista della Società Geologica britannica e frutto della ricerca coordinata dall’australiana Curtin University, è stato reso possibile da antichi strati di cenere vulcanica, usati come ‘segnalibri’ della storia geologica.
“Abbiamo utilizzato le ceneri emesse da un antico vulcano che hanno ricoperto i fossili come indicatore del tempo, per datare con precisione i fossili a 565 milioni di anni fa”, osserva Anthony Clarke, che ha guidato lo studio. “Con altri fossili simili trovati in tutto il mondo, la datazione li identifica come parte di un’antica comunità vivente che si sviluppò quando la Terra uscì da un’era glaciale globale. Queste creature potrebbero somigliare in alcuni aspetti a specie marine attuali. come le meduse , ma per altri versi – aggiunge Clarke – sarebbero molto bizzarre: alcune sembrano felci, altre cavoli e altre ancora simili a penne di uccelli”.
“Questi fossili del Galles appartengono alla stessa tipologia dei famosi fossili di Ediacara, scoperti per la prima volta in Australia – afferma Chris Kirkland, uno degli autori dello studio – e mostrano alcune delle prime prove di organismi multicellulari su larga scala, segnando un momento di trasformazione nella storia biologica della Terra”. Nonostante sia stata ritenuta per lungo tempo esclusiva dell’Australia, infatti, l’ormai ben nota fauna di Ediacara, che comprende i primi antenati di tutti gli animali che oggi popolano il pianeta, è stata rinvenuta in tutti i continenti, ad eccezione dell’Antartide.
Oggi è la Giornata mondiale della neve. I consigli per lo scatto perfetto quando si incontra u n animale: messa a fuoco, iso, esposizione spot
Ho già parlato della fotografia di animali in Fotografare gli animali, in montagna. Sicuramente per alcuni argomenti può essere utile dargli uno sguardo. Il tema, però, merita un approfondimento riguardo alcuni aspetti, soprattutto quando si scatta sotto un’abbondante nevicata.
La scelta del tempo di scatto, per esempio, diventa assolutamente determinante, non solo per fermare il movimento del nostro animale, ma anche per scegliere come rendere l’estetica della neve, nella nostra immagine: più il tempo di posa è lungo e meno la neve sarà evidente; più la posa è veloce e più i fiocchi saranno individuabili. E’ importante anche riprodurre la neve con la giusta tonalità e prestare attenzione all’attrezzatura fotografica che non è esattamente “entusiasta” di cimentarsi con umidità e fiocchi di neve.
Mentre sta nevicando: messa a fuoco e tempo di posa
Le immagini di creature viventi, uomini o animali, risultano efficaci quando l’occhio è nitido e ben visibile. E’, quindi, necessario mettere a fuoco sempre l’occhio del soggetto. Una buona metodologia consiste nel puntare il sensore di messa a fuoco sull’occhio più vicino, ricomporre l’inquadratura, tenendo premuto il pulsante di scatto a mezza corsa, e poi scattare. Il tutto richiede una certa velocità di esecuzione. Con un po’ di pratica non è poi così complicato. E’ anche possibile spostare, tramite gli appositi tasti della fotocamera, il cursore di messa a fuoco sull’occhio.
Alcune moderne mirrorless promettono di individuare l’occhio in automatico, anche in una concitata scena d’azione. Se nevica in maniera intensa, però, è molto probabile che la messa a fuoco sull’occhio non sia possibile, in nessun modo. I fiocchi di neve stessa ingannano il sensore di messa a fuoco e poi rendono, a prescindere, la fotografia meno nitida. In questo caso, l’interesse per la neve supera di gran lunga la regola del punto di messa a fuoco. E’ proprio la presenza della neve a rendere l’immagine suggestiva e interessante, sicuramente meno consueta.
Siamo meno abituati a guardare la foto di un camoscio, sotto una fitta nevicata. I fiocchi di neve sono meglio visibili se si stagliano su una superficie scura, come può essere quella degli abeti, di un edificio scuro o, come nel caso di alcune di queste foto, del pelo marrone di camosci e stambecchi. Utilizzando un tempo di posa veloce si “congelano” e divengono, quindi, più evidenti. Un tempo di posa troppo lungo, li renderebbe praticamente invisibili. Ovvio che la scelta del tempo di posa condiziona non solo la resa della neve, ma anche quella dell’animale stesso.
E gli iso?
Durante una perturbazione nevosa, in genere, la luce non è molta e utilizzando iso bassi, si rischia di ottenere tempi di posa troppo lunghi e, quindi, animali mossi. In genere, non mi stancherò mai di dirlo, è consigliabile scattare con la sensibilità iso più bassa possibile per ottenere immagini prive di rumore digitale, con un maggiore contrasto e una qualità generale superiore. Questo principio, però, risulta particolarmente importante nella fotografia di paesaggio, dove la qualità di immagine e la finezza dei dettagli è determinante.
Nel caso degli animali, soprattutto scattando in giornate di brutto tempo, o mentre sta nevicando, alzare gli iso diventa quasi indispensabile per evitare che il soggetto risulti mosso e per far sì che i fiocchi di neve risaltino nell’inquadratura. Un tempo di posa non sufficientemente breve, inoltre, causerebbe il mosso o il micro-mosso dovuto al tremolio della mano del fotografo. In alcune situazioni può essere utile aiutarsi con un monopiede, soprattutto usando pesanti teleobiettivi. A differenza del treppiede, più stabile, ma anche più lento e macchinoso da regolare, il monopiede è veloce da utilizzare e molto pratico per fotografare soggetti in movimento e quando è necessario spostare spesso l’attrezzatura, per cambiare punto di ripresa.
A volte, se non abbiamo il treppiede o il monopiede o non c’è tempo di estrarlo e regolarlo, è possibile aiutarsi cercando un appoggio di fortuna, come un tronco, un ramo o un masso. Spesso, un semplice appoggio, consente di evitare il mosso e di minimizzare il rischio del micro-mosso.
Esposizione e misurazione spot
Trovandosi a fotografare un soggetto in mezzo alla neve, come per esempio uno stambecco, la differenza di luminosità tra il pelo scuro e il bianco dello sfondo potrebbe creare qualche problema di esposizione. Più il soggetto è piccolo e più è grande la massa bianca di neve nell’inquadratura, maggiori potrebbero essere i problemi. Lo stambecco potrebbe risultare troppo scuro e anche poco dettagliato. Se si aggiunge poi il fattore della neve che cade, la foto potrebbe essere decisamente inadeguata e poco nitida.
Per rendere leggibile il soggetto principale, meglio togliere il sistema esposimetrico a matrice e selezionare il sistema spot. La misurazione a matrice, suddivide l’immagine in varie zone, le misura tutte e calcola l’esposizione che ritiene corretta, facendo una media delle varie parti dell’inquadratura. Il sistema spot, invece, misura l’esposizione solo su una minima parte, dove si punta il sensore di misurazione, ignorando tutto il resto. Puntando, quindi, sul pelo dello stambecco, avremo una misurazione generalmente “corretta” sul soggetto, che risulterà essere ben leggibile e la neve circostante leggermente chiara, quasi sovraesposta.
In casi come questo, è opportuno accettare un compromesso, in quanto soggetto e sfondo hanno esposizioni molto diverse. Scattando in formato raw, comunque, sarà possibile intervenire efficacemente in post produzione, recuperando eventuali errori in sottoesposizione del soggetto (in genere sino a 2 stop) o in sovra esposizione dello sfondo (in genere sino a 1 stop). Tra l’altro i sistemi esposimetrici più moderni consentono risultati di buon livello anche con il sistema a matrice, soprattutto se abbinato all’utilizzo del formato raw, del file e ad una sapiente post produzione.
Neve e teleobiettivi zoom
Nella maggior parte delle situazioni, per fotografare gli animali alpini, si utilizzano i teleobiettivi, come già specificato in Fotografare gli animali, in montagna.
Alcune ottiche tele, soprattutto focali zoom, possono avere qualche problema se utilizzati mentre sta nevicando. Utilizzando le focali lunghe degli zoom, può essere che una parte dell’obiettivo, allungandosi, si estrofletta, esponendo alcune parti interne dell’ottica ai fiocchi di neve. E’ necessario, quindi, prestare attenzione, soprattutto quando si torna alle focali corte e si accorcia, quindi, la lunghezza fisica dell’obiettivo.
E’ possibile che qualche fiocco di neve rimanga all’interno delle varie ghiere. La cosa migliore, in questi casi, è semplicemente asciugare queste parti, prima di riporre l’ottica nello zaino o nella borsa. Per approfondire le varie metodologie di protezione dell’attrezzature, guarda anche Fotografare con il brutto tempo.
Nel 2023 i sanitari del CANC hanno curato quasi 5.000 animali selvatici rinvenuti in difficoltà e recuperati dai propri tecnici faunistici, da privati cittadini o dagli agenti faunistico-ambientali della Città metropolitana di Torino. Tra le specie che più frequentemente in pericolo figurano: i colombi (645 esemplari), i rondoni (499), i ricci (494), i merli (300), i caprioli (103), le volpi (44), i rapaci (62) e i tassi (11). Nell’ambito di “Salviamoli insieme on the road”, gli interventi di recupero e salvataggio sul posto sono stati 250, mentre le segnalazioni telefoniche dei cittadini sono state 1.120.
E anche per il 2024 è stato rinnovato il progetto Salviamolinsieme per il recupero in campo della fauna selvatica, che vede l’impegno diretto del personale della Funzione specializzata tutela fauna e flora della Città metropolitana insieme al Canc, il Centro animali non convenzionali all’interno della Struttura didattica speciale veterinaria dell’Università di Torino. Per l’anno in corso il finanziamento è di 37mila euro.
Cosa fare se si trova un animale in difficoltà
Dal 2020 il servizio è attivabile 24 ore su 24 tutti i giorni, con una chiamata alla linea telefonica 349-4163385. Il Dipartimento Universitario di Scienze Veterinarie cura il servizio per conto della Città metropolitana. Il cittadino può chiamare il 349-4163385, che lo mette in contatto con un operatore specializzato. Parlando con l’operatore occorre cercare di identificare correttamente il luogo in cui è presente l’animale ferito o in difficoltà. L’operatore può nell’immediato dare consigli su come comportarsi in attesa dell’intervento dei sanitari veterinari. I tecnici che rispondono ai cittadini sono in possesso di una laurea che li abilita a soccorrere e gestire nel modo più corretto la fauna selvatica, tutelando l’incolumità propria e degli animali. L’esperienza accumulata in anni di servizio consente ai tecnici di valutare se, nei casi meno gravi, il cittadino può portare direttamente al CANC gli animali rinvenuti o se, invece, occorre un intervento diretto da parte di personale in grado di manipolare in maniera corretta animali che non sono abituati al contatto con l’uomo e possono subire danni gravi a seguito di un intervento errato.
Cosa prevede il progetto Salviamolinsieme
La convenzione conferma, per il 2024, l’attuale organizzazione di Salviamolinsieme presso il Canc a Grugliasco per le attività sanitarie e di mantenimento, cura e riabilitazione degli animali selvatici rinvenuti feriti o in stato di difficoltà sul territorio metropolitano, ed è articolato in: un servizio di primo soccorso operativo nelle ventiquattro ore tutti i giorni della settimana, in grado di garantire l’accettazione degli animali e le cure sanitarie urgenti o di primo livello; un centro sanitario attrezzato per la terapia medica e chirurgica, terapia post-intervento, prima ospedalizzazione; uno o più centri terapeutico-riabilitativi dotati di strutture atte alla degenza degli animali delle diverse specie e alla loro riabilitazione; una o più strutture che possano ospitare gli animali con invalidità croniche tali da non consentire la loro reimmissione in ambiente naturale e/o animali appartenenti alla fauna esotica recuperati o oggetto di sequestro.
Gli animali sono i nostri più grandi maestri di vita. Solo osservandoli nella loro quotidianità, e possibilmente nel loro habitat naturale, possiamo apprendere grandi lezioni sull’esistenza. Chi condivide le proprie giornate con un animale domestico o chi ama trascorrere il proprio tempo all’aria aperta ad osservare la fauna selvatica, sa quanta saggezza può giungere dal mondo animale.
C’è di più, però. Gli animali portano con sé simboli e significati che, se colti al momento giusto, possono far giungere le risposte alle nostre domande, possono indicarci la via da seguire. Gli animali, infatti, sono ottimi consiglieri di vita poiché non parlano con le parole della mente, ma con gli occhi dell’anima. Ecco perché, soprattutto quando ci sentiamo disorientati e confusi, è un toccasana immergerci nella natura e chiedere consiglio ai boschi e ai loro abitanti: il messaggio destinato a noi non tarderà ad arrivare, se abbiamo cuore aperto per poterlo afferrare.
Il potere spirituale degli animali è conosciuto anche dalla casa editrice Vivida che ha appena pubblicato un libro meraviglioso intitolato “Animali Guida“. L’autrice del volume è Federica Zizari (nome d’arte Kikosmica), operatrice olistica, facilitatrice di costellazioni familiari, artista spirituale. Le incantevole illustrazioni sono opere di Giada Ungredda, illustratrice e grafica italiana.
ALTRI TITOLI MOLTO APPREZZATI
La Leggenda degli Indiani d’America che ci racconta dove potremo ritrovare i nostri animali
I bimbi di oggi, abituati a giochi elettronici, difficilmente potranno crescere armonicamente e sviluppare sentimenti come compassione, gioia, dolore, amore, sentimenti che poi dovranno fare di loro uomini e donne degni di questo nome. Il loro futuro dipende da noi, da quanto sapremo farli emozionare positivamente. Spero che questo libro li aiuti.
“È così pieno di meraviglie il mondo in cui viviamo. Dovremmo svegliarci al mattino e, indossando i pantaloni, ricordarci del cavalluccio marino, urlare di stupore e non smettere di urlare finché non ci addormentiamo, e lo stesso il giorno dopo, e quello dopo ancora. Un singolo cavalluccio marino conterrebbe abbastanza meraviglia da mettere al tappeto l’intera umanità, se solo l’umanità volesse farci caso”. È una rivoluzione dello sguardo, quella che ci richiede Katherine Rundell nel Catalogo degli animali inestimabili (edito da UTET con illustrazioni di Talya Baldwin e traduzione di Chiara Baffa).
Impariamo a guardare quanto ci circonda. Cerchiamo nella vita la bellezza. Che esiste, è lì, alla nostra portata, se, appunto, ce ne vogliamo accorgere, come l’autrice – docente di letteratura inglese a Oxford – dimostra ricostruendo tutte le sorprese che si trovano nel mondo animale. Il suo “bestiario” ci spiega da dove ha origine la “meraviglia”. Due sono le fonti: la prima è costituita da quanto sono e fanno gli organismi animali; la seconda da quello che gli esseri umani hanno immaginato intorno a loro. Sguardo scientificamente esatto e madornali errori, di cui si sono spesso appropriati letteratura e folklore, procedono a braccetto nel delineare la stratificazione del vivente. Sul piano delle fertili fantasie scatenate dal regno animale il “catalogo” di Rundell è una miniera di preziose e curiose sorprese. Scopriamo che i lemuri (l’etimo non lascia dubbi, sono i “fantasmi”) quando puntano addosso il loro lungo dito medio profetizzano la morte; che le foche, assumendo tratti umani, maschili o femminili, nelle saghe nordiche diventano i “mutaforma” più “elusivi ed arcani”, i cosiddetti “selkie”; che gli orsi nascono informi, come scrive Caio Plinio nelle Storie naturali, ed è la madre a dar loro il sembiante, leccandoli; che il corno dell’inesistente unicorno, compreso quello che lo zar Pietro il Grande volle avere con sé sul suo letto di morte, è la zanna del narvalo; che alle Hawaii si ritiene che il corvo conduca le anime dei morti nell’Aldilà; che le lepri, “pozioni d’amore viventi”, sono tra gli animali più ambivalenti: sacre ad Afrodite per via della loro eccezionale fertilità, considerate ermafrodite da Aristotele nell’Historia animalium, e poi espressione dell’amore omosessuale; ma, anche, in epoche successive, avvicinate alle streghe, preannuncio di calamità, figura della Trinità (il ricorrente motivo delle tre lepri con le orecchie intrecciate) e talvolta abbinate alla Vergine.
Se il lupo è il “simbolo su cui riversare le nostre paure e le nostra sfiducia nel mondo” (spesso nel passato il termine lupo indicava il cancro), del riccio si è a lungo pensato che raccogliesse frutti con i propri aculei e che il suo grasso, mescolato a quello di orso, fosse una cura per la calvizie. Mentre i cavallucci marini sono i destrieri di Poseidone, le cicogne sono i corrieri, la cui fama di portare i neonati a destinazione nasce o dalla mitologia slava, dove conducono le anime non nate da Vyraj, il paradiso primaverile, alla terra; o dalla mitologia classica, dove la regina dei Pigmei, Gerana, trasformata in una gru (non è una cicogna ma il mito è questo) dalla gelosa Era, salva il suo bambino portandolo nel becco. Tra le vittime predilette dei nostri fantasiosi errori ci sono soprattutto i ragni, a partire dall’idea della loro presunta letalità. Nel XVI e XVII secolo si pensava che il morso della Lycosa tarantula fosse curabile soltanto con una danza frenetica, per cui venivano preparati degli spartiti musicali curativi come l’Antidotum tarantulae di Athanasius Kircher. Un destino, quello della paura suscitata dalla loro presenza, che riguarda anche i pipistrelli, associati ad azioni oscure e al vampirismo (a loro preesistente) dopo la scoperta del pipistrello vampiro in Sudamerica nel XVI secolo; meno noto, forse, è che con insospettabile frequenza ricorrono come ingredienti nelle ricette per l’invisibilità.
Appare quasi scontata una prima conclusione. L’errore è segno di qualcosa di più, di un’appartenenza dell’uomo a un piano simbolico che nasceva dalla contiguità con gli altri animali. Una contiguità negata magari nel passato sul piano intellettuale (teologico-filosofico), ma continuamente vissuta nell’esperienza. Per cui, scrive Rundell, “i vecchi errori sono fantastici e fantasiosi, e rivelano le speranze e le ansie degli esseri umani”. Ma il punto è che gli errori continuiamo a commetterli, anche se facciamo più fatica ad ammetterlo, perché ci fidiamo della sensazione che oggi tutto sia filtrato da una razionalità diffusa. Tra quanto accadeva e quanto accade c’è però una differenza. L’errore del presente nasce dal vuoto, dall’indifferenza, dalla distanza tra uomo e animali. Ed è qui che si posiziona il libro di Rundell, nello spazio che ci divide dal vivente. Perché è in questa area desertificata – da cui abbiamo bandito “lo stupore, l’attenzione e l’amore” – che si insedia l’indifferente spirito distruttivo dell’uomo contemporaneo.
Ci siamo dimenticati quanta bellezza andiamo ogni giorno annientando con l’estinzione delle altre specie. Quello che può sembrare un leggero e dolcemente ironico transito attraverso le forme del vivente, diventa allora un discorso politico, nel senso più nobile del termine. Tra ecosistemi che annaspano e dolorose scomparse, Rundell sottolinea come ci sia ancora “molto da salvare”. Per riuscirci, “la paura e la rabbia possono galvanizzarci, ma da sole non sono sufficienti: dovrà essere la nostra amorevole attenzione a spingerci all’azione”. Il libro assume la forma del “corteggiamento”. Il lettore deve essere sedotto. E l’arma più affilata per riuscirci diventa proprio quella dell’avvicinare le altre creature “dicendo la verità”, andando cioè là dove la scienza e l’estetica ci conducono. Perché, come suggerisce Rundell, in fondo non c’è nulla di più meraviglioso che aprire gli occhi su quanto gli animali possono fare e soprattutto su quello che appaiono ai nostri occhi.
La vera fonte di sorprese è proprio la natura e gli esempi forniti da Rundell sono numerosi e davvero capaci di lasciarci incantati. Ne elenchiamo alcuni, in ordine sparso, partendo dal vombato, lo squalo della Groenlandia, che detiene il primato di longevità: qualche esemplare ha superato i 600 anni, diventando “la cosa più vicino all’eterno” che si conosca. Con la giraffa, “concettualmente disordinata” secondo il poeta latino Orazio, non abbiamo risolto l’enigma del collo lungo. A cosa serve? Non sembra, come riteneva Darwin, che dia vantaggi nell’approvvigionarsi di fogliame. Più probabile che entri in gioco il necking, la battaglia tra maschi per stabilire l’elemento dominante, che spesso è preludio dell’attività sessuale tra gli stessi contendenti, a testimonianza della prevalente omosessualità della specie. Ma il collo è anche all’origine di un’altra abitudine delle giraffe, quella di bere soltanto ogni tre o quattro giorni. Si tratta in effetti di un’operazione laboriosa, che, per evitare svenimenti nel momento in cui si piega la testa verso il basso, richiede la chiusura della vena giugulare. Tra le creature straordinarie, c’è il rondone, “perfetto per il cielo”: il suo corpo pesa meno di un uovo di gallina.
Tutta la sua vita avviene in volo: mangia, dorme e si accoppia senza mai scendere a terra. Mediamente i rondoni non si posano per dieci mesi, ma alcuni sono arrivati a non farlo per quattro anni. Sono gli uccelli più veloci nel volo orizzontale, il record è stato raggiunto con 111,6 chilometri orari. Chi invece vive entrando nelle “case disabitate” è il granchio eremita, che è solito trovare riparo nei gusci di conchiglia vuoti: dopo averli occupati, li mimetizza circondandoli di anemoni. C’è chi rivela qualità insospettate: alcune foche possiedono un’eccezionale facilità di apprendimento del linguaggio umano, e una delle loro specie, quella degli elefanti marini, ha la capacità di trattenere il respiro per due ore grazie agli alti livelli di mioglobina che consentono di immagazzinare l’ossigeno nei muscoli, permettendo loro di raggiungere i due chilometri di profondità nelle fredde acque oceaniche. Degli orsi sono infinite le meraviglie. L’orso bruno di Kodiak modifica radicalmente il proprio corpo nel corso della vita, passando dai 500 grammi alla nascita ai 680 chili da adulto. Gli orsi che vanno in letargo trascorrono più di cento giorni senza mangiare, bere e urinare. Nonostante sia uno dei nostri animali-guida (si pensi alla diffusione degli orsacchiotti di peluche), i rapporti tra uomo e orso non sono sempre estranei al rischio.
Ogni anno nel mondo si verificano quaranta attacchi di orso all’uomo, il 20% dei quali ha esiti mortali. Il narvalo è tra i mammiferi meno conosciuti. La sua zanna, che può raggiungere i 25 centimetri di larghezza alla base, contiene 10 milioni di terminazioni nervose. Il narvalo è solito strofinarla sulla zanna di un altro narvalo per trasmettergli informazioni sulla salinità dell’acqua (e quindi sulla probabilità di congelamento). Talvolta, però, la usa per stordire altri pesci o come mezzo di corteggiamento. Il suo problema, abitando nei mari più freddi, è mantenere il calore: da qui derivano il corpo slanciato e l’alta percentuale di grasso che lo caratterizza. I corvi, è noto, sono tra gli animali più intelligenti, capaci di serbare rancore e di essere spietati come nemici e straordinari come alleati. Alla ferocia – non esitano a beccare gli occhi degli agnelli appena nati – uniscono notevoli abilità artigianali, creando strumenti con i ramoscelli degli alberi. Il corpo del riccio è cosparso di 6000 aculei cavi, che spuntano subito dopo la nascita. I ricci sono utili per disinfestare, visto che si nutrono di insetti. Immuni al veleno della maggior parte dei serpenti, possono soffrire della curiosa “sindrome del palloncino”, quando una glottide in cima alla trachea si blocca ostruendo il passaggio dell’aria: il corpo si gonfia fino ad essere “più del doppio delle sue dimensioni abituali e deve essere bucato come un palloncino”.
La proboscide dell’elefante è la fusione del labbro superiore e del naso ed è un portentoso concentrato di recettori olfattivi, ben 2000 contro gli 800 dei segugi, che consentono di individuare la presenza dell’acqua a tre chilometri di distanza. Con la proboscide gli elefanti comunicano, ma prevalentemente si servono della laringe con cui trasmettono suoni a così bassa frequenza che noi non possiamo percepirli. Il cavalluccio marino appartiene all’unica specie in cui a partorire è il maschio: la femmina deposita le uova nella sua tasca addominale e, dopo una gestazione che va da due a sei settimane, il maschio erutta una fantasmagorica pioggia di minuscoli cavallucci. La procreazione per i cavallucci è così importante che li spinge a costituire coppie monogame e fedeli per avere il maggior numero possibile di gravidanze. L’accoppiamento prevede una specie di balletto, in cui producono un suono simile a uno schiocco (l’altro verso che hanno a disposizione è un minuscolo ringhio gutturale). Non avendo lo stomaco, devono mangiare continuamente, ma avendo mandibola e mascella unite, non potendo masticare, devono aspirare plancton e crostacei.
La strana postura “in piedi” del cavalluccio potrebbe essere la conseguenza di antichi spostamenti tettonici che hanno creato nelle acque delle praterie di alghe, da cui il cavalluccio si è districato mettendosi in posizione verticale. Il suo antenato, sul piano evolutivo, potrebbe essere stato il pesce pipa. Il pangolino è l’unico mammifero dotato di squame, con una lingua più lunga del corpo. Per evitare problemi la tiene arrotolata in una tasca situata vicino al fianco. Grazie a una cicogna che nel 1822 arrivò dall’Africa centrale in un villaggio tedesco con una lancia da 70 centimetri nel collo, si è chiarito il mistero della scomparsa degli uccelli in inverno, risolvendo dubbi millenari. Alla cicogna spetta anche un altro primato. L’aeronauta tedesco ottocentesco Otto Lilienthal si basò proprio sul suo corpo per progettare i primi modelli di aliante. I tanto temuti ragni – ma la causa dell’aracnofobia non è stata chiarita, forse ha a che fare con gli angoli retti delle zampe – realizzano qualcosa di unico con le ragnatele che, in alcuni casi, sono infinitamente più resistenti dei fili d’acciaio. Ma soprattutto i ragni servono.
A cosa? Ogni anno mangiano da 400 a 800 milioni di tonnellate di insetti ed altri parassiti. Di fatto si nutrono di chi mangerebbe il nostro cibo, evitando carestie e pestilenze. Che i pipistrelli si muovano al buio con l’udito e non con la vista, che pur possiedono, è stato scoperto da Lazzaro Spallanzani nel 1793; più recente è la scoperta che, se li sentissimo gridare, ne rimarremmo assordati. Grandi come grizzly, velocissimi – il loro nome significa “sfrecciare” – i tonni sono tra i pochi pesci a sangue caldo. Non dipendendo dalla temperatura del mare, vanno ovunque e mangiano di tutto, compreso il mercurio che non riescono a disperdere e li rende non del tutto idonei a finire nei nostri piatti. E poi c’è lei, la talpa dorata, l’unico tra i mammiferi che possiede l’iridescenza, anche se non la può vedere, perché, vivendo prevalentemente sottoterra, è cieca, con gli occhi coperti da uno strato di cute e pelliccia.
Per tutti gli animali nominati, Rundell sottolinea il pericolo a cui sono esposti. Non c’è una di queste specie che non stia rischiando di scomparire. Saranno la meraviglia e la bellezza a salvarle?
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