Gli ippopotami volano ». Provate a pronunciare questa frase a una cena tra amici e osservate con che faccia vi guardano: crederanno che siate impazziti. Eppure, anche se ovviamente questi enormi mammiferi non compiono evoluzioni aeree paragonabili a quelle degli uccelli, il loro modo di correreprevede anche dei piccoli “voli” – che non sono veri voli, ma che li vedono sollevare da terra tutte e quattro le zampe contemporaneamente , un’impresa che sembra impossibile per un animale che pesa fino a due tonnellate. Potete leggere lo studio che descrive quest’impresa su PeerJ .
UNO STUDIO «NOIOSO » . Lo studio in questione, che il primo autore John Hutchinson ha descritto come « noiosissimo da svolgere» , non è stato effettuato nell’habitat naturale degli ippopotami, ma in uno zoo che si trova in Inghilterra , nello Yorkshire, chiamato Flamingo Land. Qui, una delle studentesse di Hutchinson, Emily Pringle, ha ripreso con telecamere ad alta risoluzione la corsa degli ippopotamiospitati dal parco; queste immagini sono state integrate con altri video di ippopotami che corrono, trovati su YouTube. Lo studio ha poi previsto (è questa la parte noiosa) un’analisi fotogramma per fotogramma del girato, per scoprire come questi mammiferi muovono le zampe durante la loro corsa.
IL VOLO DEGLI IPPOPOTAMI. Il duo ha scoperto che, per la maggior parte del tempo, gli ippopotami procedono al trotto , muovendo in sincronia le zampe anteriore destra e posteriore sinistra, e anteriore sinistra e posteriore destra; in questo sono paragonabili agli elefanti.
Quando però corrono, in particolare quando inseguono i loro rivali, passano al galoppo : in questi momenti, alzano da terra tutte e quattro le zampe contemporaneamente, “volando” appunto; è lo stesso metodo di corsa utilizzato da un altro mammifero di grandi dimensioni, il rinoceronte. Il “volo” degli ippopotami , dice lo studio, li tiene sospesi per aria per il 15% del tempo che passano a correre. Hutchinson ora vuole ripetere lo studio analizzando la corsa degli ippopotami quando sono ancora giovani, e dunque pesano di meno: che siano in grado di volare ancora più spesso?
Nella Legge di Bilancio è previsto un contributo di 750 mila euro per sostenere spese veterinarie, acquisto di farmaci e molto altro ancora
proprietari di animali sono sempre attenti al loro benessere che non coinvolge solo un’alimentazione sana, ma anche rivolgersi al veterinario e sottoporli alle cure adeguate in caso di bisogno. Per agevolarli nelle spese mediche è in previsione il Bonus Animali Domestici 2024 introdotto con l’ultima manovra che ha fissato lo stanziamento economico in 250 mila euro l’anno per il triennio 2024-2026 (per un totale di 750 mila euro nel triennio). L’obiettivo è quello di contrastare il più possibile fenomeni di cui si sente parlare troppo spesso come il randagismo e l’abbandono. Per ottenere il bonus bisogna rispondere a determinati requisiti, vediamo insieme come richiederlo.
Il bonus animali domestici 2024 è destinato alle persone anziane che hanno difficoltà a far fronte alle spese mediche. Nella legge di Bilancio si parla in generale di animali di affezione senza elencare le specie, ma si può intuire quelle a cui fare riferimento. Saranno con tutta probabilità compresi i cani e i gatti, gli animali da compagnia per antonomasia, come anche tutti gli altri di cui può essere certificata la proprietà. Ad esempio, alcuni roditori come i criceti oppure i furetti sono destinati a far parte di questo elenco, mentre per rettili, anfibi e invertebrati bisognerà attendere nuove disposizioni. I requisiti per la richiesta sono presto detti:
È necessario avere non meno di 65 anni
Il reddito ISEE dichiarato non può superare i 16215 euro l’anno
Occorre essere residenti in territorio italiano
Le spese per gli animali devono essere documentate con tanto di ricevute o fatture
L’animale deve essere registrato presso l’Anagrafe degli Animali d’Affezione
Come può essere sfruttato il bonus
Il fondo da 750 mila euro in tre anni dovrà essere usato per pagare visite dal veterinario, vaccinazioni, sterilizzazioni e operazioni chirurgiche di varia entità. Lo stesso discorso vale per l’acquisto dei medicinali destinati agli animali, a patto che il prezzo minimo sia di 129,11 euro.
Tra l’altro, il Bonus Animali Domestici 2024 consente di beneficiare di una detrazione del 19% sulle spese veterinarie, a patto che venga calcolata su un totale massimo di spesa di 550 euro ogni anno (non ha importanza invece il numero di animali).
La richiesta dell’agevolazione passo per passo
Come ogni agevolazione che si rispetti, anche questo bonus può essere richiesto seguendo con attenzione una serie di passaggi. Anzitutto bisogna dire che non servono moduli da compilare o domande telematiche da inviare, basta verificare i requisiti citati sopra e allegare la dichiarazione dei redditi con le fatture e le ricevute che servono in questo caso.
I pagamenti legati al bonus, inoltre, devono essere tutti tracciabili, quindi è necessario che vengano effettuati tramite bonifici, carte di credito o di debito. Vale la pena ricordare, comunque, che in diversi comuni italiani sono previsti anche altri bonus “locali”, altre opportunità che vengono in aiuto di chi si prende cura degli animali domestici. Ecco perché è opportuno informarsi direttamente al proprio Comune di residenza per avere maggiori dettagli e capire se si ha diritto ai contributi economici per farmaci e spese veterinarie di vario tipo.
NDR: Questi sono i risontri legislativi per i reati contro gli animali. L’invito è per ciascuno di noi a vigilare sul rispetto della legge ed eventualmete a segnalare alle autorità con consapevolezza
Manuela Valletti
I reati contro il sentimento degli animali sono previsti e puniti nel diritto penale italiano come reati volti a tutelare il sentimento umano di compassione e rispetto verso gli animali, considerati esseri senzienti.Il diritto penale italiano si è evoluto per fornire una tutela sempre maggiore agli animali, riconoscendo il crescente valore morale e sociale del rispetto verso gli esseri viventi. La sensibilizzazione sociale e l’applicazione rigorosa della legge sono fondamentali per prevenire e punire efficacemente questi reati.3. Altri reati collegati1. Normativa di riferimento2. Principali reati3. Altri reati collegati4. Aspetti procedurali5. GiurisprudenzaVuoi ricevere aggiornamenti costanti?
– Codice Penale Italiano, Articolo 544-bis e seguenti: Introduzione di norme specifiche per la protezione degli animali dal maltrattamento e dall’uccisione non necessaria. – Legge n. 189 del 2004: Questa legge ha introdotto nuove disposizioni per il maltrattamento di animali, riconoscendo il valore morale e sociale della protezione degli animali.
2. Principali reati
Uccisione di Animali (Art. 544-bis c.p.): -Descrizione: Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale. – Pena: Reclusione da 4 mesi a 2 anni.
Maltrattamento di Animali (Art. 544-ter c.p.): – Descrizione: Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione a un animale o lo sottopone a sevizie o a comportamenti che possano causare gravi sofferenze. – Pena: Reclusione da 3 a 18 mesi o multa da 5.000 a 30.000 euro.
Spettacoli o Manifestazioni Vietate (Art. 544-quater c.p.): – Descrizione: Promuove, organizza o partecipa a spettacoli o manifestazioni che comportano sevizie o maltrattamenti di animali. – Pena: Reclusione da 4 mesi a 2 anni e multe.
Combattimenti tra Animali (Art. 544-quinquies c.p.): – Descrizione: Chiunque organizza o partecipa a combattimenti tra animali o altre pratiche con crudeltà. – Pena: Reclusione da 1 a 3 anni e multe elevate.
3. Altri reati collegati
Abbandono di Animali (Art. 727 c.p.): – Descrizione: Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività. – Pena: Arresto fino a un anno o ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
Detenzione di Animali in Condizioni Incompatibili (Art. 727 c.p.): – Descrizione: Chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. – Pena: Le stesse previste per l’abbandono di animali.
4. Aspetti procedurali
Denuncia: La denuncia per i reati contro il sentimento degli animali può essere presentata da chiunque abbia conoscenza del fatto. Procedibilità: Questi reati sono generalmente procedibili d’ufficio, cioè senza necessità di querela da parte della vittima (animale o proprietario). Sequestri e Confische: Gli animali coinvolti nei reati possono essere sequestrati e affidati a strutture idonee, con eventuale confisca definitiva in caso di condanna.
5. Giurisprudenza
La giurisprudenza italiana ha rafforzato la tutela degli animali, riconoscendo loro uno status che va oltre il semplice bene materiale, interpretando la normativa in modo da tutelare anche la loro dignità come esseri viventi.
o studio“Chicks produce consonant, sometimes jazzy, sounds”, pubblicato su Biology Letters da Gianmarco Maldarelli, Andrea Dissegna e Cinzia Chiandetti del Dipartimento di scienze della vita dell’università di Trieste e da Andrea Ravignani del Dipartimento di neuroscienze umane della Sapienza Università di Roma, ha scoperto che «La preferenza delle specie animali, umane e non umane, per i suoni consonanti sarebbe in parte determinata fisiologicamente».
L’ipotesi all’origine dello studio, è che gli elementi costitutivi delle capacità musicali – di umani e animali – abbiano una radice biologica, condivisa tra specie anche filogeneticamente distanti, e non dipendano già solo dalla cultura e dall’esperienza musicale.
Ravignani, che lavora anche per il Comparative Bioacoustics Group del Max Planck Institute for Psycholinguistics e per il Center for Music in the Brain dell’un iversità di Aarhus, ricorda che «Ricerche precedenti dell’Università degli Studi di Trieste già avevano condotto alla scoperta della preferenza dei pulcini, come di altre specie, per i cosiddetti intervalli musicali consonanti. Questi ultimi, infatti, sono quelli che più assomigliano al suono prodotto dagli esseri viventi, mentre quelli dissonanti richiamano la minor armonia dei suoni ambientali. Allora non se ne conoscevano le ragioni; oggi, invece, sappiamo – grazie a studi condotti insieme, Università degli Studi di Trieste e Sapienza Università di Roma – che gli intervalli consonanti vengono prodotti in segnali sociali di tipo acustico».
La ricerca è stata condotta su 130 pulcini implumi; una volta schiusi, i pulcini – che non necessitano di alcuna cura parentale, né per sviluppare il repertorio vocale né per deambulare – sono stati allevati per quattro giorni, a coppie, in gabbie rettangolari a temperatura ambiente controllata.
All’università di Trieste spiegano che «Per ogni pulcino sono stati registrati in arene insonorizzate i seguenti richiami: di contatto emesso dal pulcino quando prova disagio perché, ad esempio, separato dalla chioccia, di covata emesso in situazioni piacevoli e di cibo emesso quando il pulcino identifica una fonte di cibo redditizia. Questi richiami fanno parte di un complesso codice vocale che i pulcini sviluppano dalla schiusa all’età adulta per comunicare i loro bisogni agli altri conspecifici e per esprimere la natura positiva o negativa di una situazione che stanno vivendo. I ricercatori hanno stimolato la produzione di ciascun tipo di richiamo da parte dei pulcini ricreando gradualmente la situazione naturale associata a ciascuno di essi. In particolare, hanno registrato: i richiami di contatto, lasciando soli i pulcini nell’arena vuota dopo averli separati dal compagno di allevamento e dall’oggetto per l’imprinting; i richiami di covata, inserendo un oggetto per l’imprinting al centro dell’arena dopo l’isolamento iniziale; i richiami di cibo, posizionando un piatto di cibo al centro dell’arena dopo aver rimosso l’oggetto per l’imprinting».
Analizzati i picchi minimi e massimi delle frequenze fondamentali e calcolatone il rapporto, lo studio ha rivelato «Ua prevalenza di consonanza perfetta in tutti i tipi di richiamo, a conferma dell’idea che i suoni consonanti siano intrinsecamente presenti nella comunicazione animale. Le sole dissonanze registrate sono state rinvenute in situazioni di particolare distress, quali ad esempio contesti d’isolamento».
La Chiandetti, professore associato di psicobiologia, conclude; «Questa ricerca potrebbe aprire ad applicazioni promettenti: un pulcino che emette un suono con una certa frequenza verosimilmente sta indicando un certo tipo di situazione e oggi sappiamo che i richiami più armonici sono quelli emessi nelle situazioni più piacevoli” . “A seconda della dominanza di consonanze o dissonanze, potremo arrivare a comprendere lo status emotivo dell’animale associato al contesto in cui si trova: non siamo poi così lontani dal poter immaginare dispositivi in grado di registrare i richiami e restituire il livello di comfort o stress dell’animale che ci troviamo di fronte, anche dei polli che, come direbbe lo scrittore Andrew Lawler, sono gli uccelli che hanno alimentato la civiltà».
L’uomo ha sempre sfruttato gli animali: oltre a cavalli e muli, anche cani, piccioni e orsi hanno dato il loro contributo sui campi di battaglia, dall’antichità a oggi.
Cani con la medaglia
Nell’ottobre del 2018, una femmina di pastore belga ha rischiato la vita, braccando il leader dell’Isis Abu Bakr al Baghdadi: sguinzagliata da uno dei Rambo della Delta Force americana durante il raid statunitense nella provincia di Idlib (Siria) ha inseguito il super ricercato nel suo nascondiglio, fino al tunnel senza uscita in cui l’uomo si è fatto esplodere. Zero Bark Thirty è un addestratissimo cane-soldato dell’unità speciale K9. Uno degli innumerevoli fedelissimi amici dell’uomo trascinati in guerra dai loro umani già secoli fa.
I grossi molossi assiri e babilonesi, quelli in forza nell’esercito persiano di Ciro il Grande (VI secolo a.C.) e in quello macedone di Alessandro Magno (IV secolo a.C.), i mastini dei Celti che accolsero i legionari di Giulio Cesare in Britannia (55 a.C.) e il “canis pugnax” romano venivano tutti addestrati per combattere come feroci guerrieri. Solo l’invenzione della polvere da sparo li relegò nelle retrovie, come ausiliari, portaordini e soccorritori, ma anche così molti si guadagnarono la fama di eroi. Stubby, per esempio: un pitbull terrier con la coda mozzata, ex randagio di Boston, nel corso della Grande guerra si guadagnò sul campo il grado di sergente e diverse medaglie. Tra le sue imprese: aver catturato una spia tedesca e aver salvato i commilitoni del 102° reggimento di fanteria americano da una serie di attacchi con il gas mostarda, di cui riconosceva l’odore in larghissimo anticipo.
Equini in trincea
Alessandro Magno era legatissimo al suo Bucefalo; Marengo prese il proprio nome dalla battaglia attraverso la quale condusse incolume il suo cavaliere, Napoleone Bonaparte; il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia non volle staccarsi neppure durante l’esilio dal suo Favorito, con cui aveva combattuto durante i moti del 1848.
I cavalli, e i loro cugini muli, sono stati da sempre gli animali da guerra per eccellenza: i primi andarono in battaglia già 4mila anni fa, per tirare i carri delle antiche popolazioni mediorientali. Protagonista di cariche travolgenti e prode compagno di valorosi condottieri, con l’impiego delle moderne e più letali armi da fuoco il cavallo finì per andare a far compagnia a muli e asini come bestia da soma e da tiro. Si stima che quasi dieci milioni di questi animali fossero arruolati su vari fronti durante il primo conflitto mondiale, ma in quel caso ben più utile di loro si rivelò il mulo: instancabile compagno di cordata degli alpini sul fronte italiano, poteva trasportare fino a 150 kg di carico.
Per questo, fin dalla metà del Settecento, ha fatto parte dei reparti speciali in dotazione a tutti gi eserciti.
Oggi vorremmo solo sparissero dalle piazze e dai balconi, ma c’è stato un tempo, tra l’inizio della Prima e la fine della Seconda guerra mondiale, in cui i piccioni erano considerati eroi. Come il giovane Paddy, che sfuggendo agli artigli dei falchi di Hitler, il 6 giugno 1944 comunicò agli Alleati preziose informazioni sullo sbarco in Normandia, percorrendo quasi 370 chilometri tra la costa francese e la base militare inglese di Hampshire nel tempo record di quattro ore e cinquanta minuti.
La coraggiosa Cher Ami fu invece il postino piumato più famoso della Grande guerra. Entrò nella leggenda grazie alla sua tredicesima missione, quando, durante la battaglia delle Argonne (1918), in barba a una tempesta di proiettili tedeschi, con una scheggia di piombo nel petto, un occhio accecato e una zampa quasi staccata, volò per 40 chilometri per consegnare il messaggio disperato di un battaglione statunitense. Salvò così la vita a 194 uomini, intrappolati dietro le linee nemiche e bersagliati dal fuoco degli alleati, che ne ignoravano la posizione. Con una protesi di legno al posto della zampa e sul petto la Croix de Guerre francese, Cher Ami sopravvisse un altro anno, prima di finire imbalsamata al National Museum of American History.
La carica degli elefanti
C’è quello che Carlo Magno ostentò contro i Vichinghi danesi di re Göttrik (804) e quello che l’imperatore del Sacro romano impero Federico II sfoggiò quando prese Cremona (1204). Ma i più famosi furono gli elefanti con cui Pirro, re dell’Epiro, combatté e vinse i Romani, terrorizzati da quei “buoi lucani”, nella battaglia di Eraclea (280 a.C.), nell’odierna Basilicata. Sessantadue anni dopo, all’inizio della Seconda guerra punica, quando il condottiero cartaginese Annibale valicò le Alpi con l’esercito e 37 pachidermi, fu il freddo a dare una mano ai legionari: durante la traversata uccise infatti tutti gli animali tranne uno, Surus, che morì di malaria poco dopo.
I Latini non furono comunque i primi “europei” a vedere gli elefanti in azione: quel primato era toccato ai soldati di Alessandro Magno, nella battaglia di Gaugamela (331 a.C.). I 15 pachidermi indiani dell’esercito persiano di Dario III impressionarono moltissimo le truppe macedoni: ma Alessandro, oltre a compiere un sacrificio al dio della paura, Phobos, fece schierare la cavalleria lontana da quei bestioni.
Per la loro pungente caratteristica, entrambi questi stizzosi animaletti vennero impiegati in battaglia fin dall’antichità. Risale al 198 d.C. una delle prime testimonianze sull’impiego degli scorpioni sul campo. A farne le spese furono i Romani di Settimio Severo: durante l’assedio di Hatra, un’importante città fortificata allora appartenente all’Impero dei Parti, furono infatti respinti da centinaia di questi velenosi artropodi rovesciati sulle loro teste dall’alto. E dire che i Romani non erano nuovi a trucchi del genere: solo che loro preferivano affidarsi alle api. Proprio come i Greci, che le impiegavano in battaglia perché erano in grado di colpire gli avversari anche se indossavano la corazza.
Ancora secoli dopo, durante la Prima guerra mondiale (1914-1918) e la guerra in Vietnam (1955-1975), alveari pronti ad aprirsi al passaggio dei nemici, piazzati rispettivamente dai tedeschi e dai vietcong a mo’ di trappola, rallentarono dolorosamente l’avanzata dei soldati.
Ratti antimina
Incubo dei soldati in trincea, i ratti non sono sempre nemici da combattere. Soprattutto quando si tratta dei ratti giganti del Gambia, i topi più grandi del mondo. Questa particolare specie, con la sua corporatura leggera e l’olfatto eccezionale, si è rivelata un’incredibile soluzione per bonificare le zone di guerra dalle mine antiuomo. In Cambogia e in diversi Paesi africani, ormai da un ventennio i grossi roditori salvano almeno 5mila vite all’anno: dopo 9 mesi di addestramento, legati a un filo e muovendosi lungo percorsi definiti, sono infatti capaci di riconoscere l’odore del metallo e della polvere da sparo di cui sono composti gli ordigni bellici e di segnalarne la presenza agli operatori. In cambio di un po’ di cibo e senza rischiare la vita, dato che sono troppo leggeri per far esplodere le bombe, in questo modo possono ripulire 200 metri quadrati di territorio in soli venti minuti: a un uomo con un metal detector, invece, occorrerebbero fino a quattro giorni.
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