Un mosaico della Villa del Casale di Piazza Armerina
Maurizio Schoepflin
Uno studio di Marco Vespa indaga, attraverso testi storici e citazioni letterarie, come Greci e Romani interagivano con il mondo animale tra lavoro, diletto, religione…
L’agile volumetto di Marco Vespa, I Greci, i Romani e … gli animali (Carocci, pagine 200, euro 16) si presenta come uno strumento molto utile per conoscere quale sia stato il ruolo del mondo animale all’interno della vita e della cultura dell’antichità, ruolo che saremmo portati a sottovalutare ma che, al contrario, fu assai complesso e significativo. Scrive a questo proposito l’autore: «Difficile pensare alle antiche culture greca e romana senza riferirsi a loro, agli animali. Erano presenze costanti, compagni di vita, aiutanti insostituibili, spesso ospiti indesiderati, talvolta protagonisti di sogni angoscianti, in qualche occasione persino creature divine, protette e tutelate dagli dèi».
Attingendo continuamente alle fonti – sono un centinaio i brani riportati nel testo e offerti all’attenzione del lettore in ottime traduzioni italiane -, Vespa ha disegnato un percorso che, suddiviso in nove capitoli, delinea le caratteristiche principali della presenza animale nell’universo greco e romano antico. L’autore si sofferma a trattare una molteplicità di temi: l’anatomia e l’etologia degli animali, le relazioni, le alleanze e i conflitti tra umani e animali, gli animali come modelli dell’agire umano, la loro collocazione nel politeismo antico, la loro presenza nella dimensione onirica, il loro sfruttamento nella medicina, le singolari biografie di animali antichi e, infine, le critiche alle violenze inflitte agli animali. A proposito di quest’ultimo argomento, risultano particolarmente interessanti le considerazioni che nello scritto Adversus nationes esprime l’apologista Arnobio di Sicca, vissuto a cavallo fra il III e il IV secolo, il quale, dopo aver aspramente condannato i violenti e sanguinosi giochi dei gladiatori, stigmatizza pure lo scempio che spesso gli uomini fanno degli animali, «prendendo ciascuno una porzione, come si comportano di solito i cani e gli avvoltoi, strappandole via con i denti per saziare il proprio stomaco».
Particolarmente suggestive sono le testimonianze riguardanti le presenza degli animali nei sogni. Nelle Vite dei Cesari Svetonio, il celebre storico vissuto fra il I e il II secolo, ci racconta che Nerone, dopo essersi attirato l’odio di molti, cominciò ad avere incubi terribili, come quello di essere completamente ricoperto da un’infinità di formiche alate. Anche Artemidoro, scrittore greco del II secolo, sosteneva che «vedere in sogno delle formiche alate non porta nulla di buono; preannunciano rovina e viaggi pieni di insidie. Sognare le altre formiche, quelle operaie, invece è un buon segno per gli agricoltori; queste predicono un buon raccolto, visto che dove non ci sono semi non potresti vedere delle formiche».
Non soltanto gli antichi avvertirono tutto il fascino, ora dolce ora inquietante, del mondo animale, ma ritennero di grande importanza possedere pure valide informazioni su di esso. Non casualmente, ricorda Vespa, «conoscere il comportamento e le abitudini di vita degli animali, in particolare degli uccelli, faceva parte anche a Roma delle competenze che dovevano mostrare gli appartenenti ai collegi sacerdotali che affiancavano i magistrati. La consultazione dei segni oracolari che erano espressi dal volo degli uccelli o dal loro canto era alla base degli auspicia, i responsi di cui i magistrati romani dovevano tener conto nei momenti più importanti del calendario civile e in occasione di spedizioni militari, trattandosi di manifestazioni della volontà divina».