Una delle più grandi discussioni contemporanee relative agli animali domestici, e ai gatti in particolare, riguarda le loro abitudini alimentari: è da parecchi anni che si discute del loro impatto sulla fauna selvatica, perché un gatto lasciato libero di vagare può catturare una grande varietà di prede, che siano uccelli, rettili o piccoli mammiferi. Non tutti concordano sulla portata di questo fenomeno in termini puramente quantitativi (cioè quanti animali selvatici uccidano ogni anno, e quanto questo abbia un impatto sulle specie selvatiche), ma un nuovo studio pubblicato su Nature Communications ci dice qualcosa sulla varietà della loro dieta: in tutto il mondo, i gatti domestici si “pappano” più di 2.000 specie diverse, 347 delle quali sono peraltro già classificate a rischio estinzione.
GATTI SCHIZZINOSI? NON SEMPRE… Lo studio è un’analisi effettuata a livello mondiale, e raccoglie tutti i dati che il team è riuscito a recuperare relativi alle prede dei gatti domestici – una definizione che include sia quelli strettamente di casa, che spesso vengono lasciati vagare liberamente per il vicinato, sia quelli randagi o selvatici. I dati utilizzati coprono oltre un secolo di analisi, partendo da vecchi studi pubblicati ai primi del Novecento fino ad arrivare ai censimenti odierni, e dimostrano inequivocabilmente che, quando si tratta di andare a caccia, i gatti non sono neanche lontanamente schizzinosi quanto sanno esserlo quando gli si dà una scatoletta. Considerando tutto il mondo, le loro prede potenziali appartengono a 2.084 specie diverse, tra le quali 981 di uccelli, 463 di rettili e 431 di mammiferi.
NESSUNO È AL SICURO. Ovviamente nel menu ci sono le specie che ci si aspetta: topi, ratti e altri micromammiferi, uccelli altrettanto piccoli, lucertole. Ma ci sono anche testimonianze di gatti randagi che mangiano testuggini, rospi, in Australia persino emu (presumibilmente già morti, vista la differenza di dimensioni). Secondo lo studio, il 9% di tutte le specie note di uccelli sono a rischio predazione da parte dei gatti, e più del 6% delle specie note di mammiferi. Senza contare che in molti casi è impossibile identificare la specie predata, che viene quindi classificata come “sconosciuta”: è molto probabile che 2.084 sia una stima conservativa, e che ci siano altre decine se non centinaia di specie che ancora non abbiamo identificato tra i resti dei pasti dei gatti. Insomma, nel dubbio forse è meglio tenere il gatto in casa, come già suggeriva uno studio dell’anno scorso.
Gli animali sono i nostri più grandi maestri di vita. Solo osservandoli nella loro quotidianità, e possibilmente nel loro habitat naturale, possiamo apprendere grandi lezioni sull’esistenza. Chi condivide le proprie giornate con un animale domestico o chi ama trascorrere il proprio tempo all’aria aperta ad osservare la fauna selvatica, sa quanta saggezza può giungere dal mondo animale.
C’è di più, però. Gli animali portano con sé simboli e significati che, se colti al momento giusto, possono far giungere le risposte alle nostre domande, possono indicarci la via da seguire. Gli animali, infatti, sono ottimi consiglieri di vita poiché non parlano con le parole della mente, ma con gli occhi dell’anima. Ecco perché, soprattutto quando ci sentiamo disorientati e confusi, è un toccasana immergerci nella natura e chiedere consiglio ai boschi e ai loro abitanti: il messaggio destinato a noi non tarderà ad arrivare, se abbiamo cuore aperto per poterlo afferrare.
Il potere spirituale degli animali è conosciuto anche dalla casa editrice Vivida che ha appena pubblicato un libro meraviglioso intitolato “Animali Guida“. L’autrice del volume è Federica Zizari (nome d’arte Kikosmica), operatrice olistica, facilitatrice di costellazioni familiari, artista spirituale. Le incantevole illustrazioni sono opere di Giada Ungredda, illustratrice e grafica italiana.
ALTRI TITOLI MOLTO APPREZZATI
La Leggenda degli Indiani d’America che ci racconta dove potremo ritrovare i nostri animali
I bimbi di oggi, abituati a giochi elettronici, difficilmente potranno crescere armonicamente e sviluppare sentimenti come compassione, gioia, dolore, amore, sentimenti che poi dovranno fare di loro uomini e donne degni di questo nome. Il loro futuro dipende da noi, da quanto sapremo farli emozionare positivamente. Spero che questo libro li aiuti.
Chi è il colpevole di aver scuoiato vivo il gatto Leone? Che profilo psicologico potrebbe avere? «Chi commette crudeltà nei confronti degli animali è probabile che compia violenze sulle donne». La psichiatra Virginia Ciaravolo traccia quelle che potrebbero essere le caratteristiche del killer.
Qual è il profilo psicologico del colpevole?
Chiaramente non è stato trovato né il colpevole né i colpevoli. Un profilo sulla persona che ha commesso quella cosa terribile non lo possiamo tracciare. Potrebbe essere opera di giovani. È un indice di crudeltà immane, mancanza di empatia. Noi che ci occupiamo di violenza di genere mettiamo tra le caratteristiche di quello che potrebbe sviluppare in futuro delle violenze nei confronti delle donne gli uccisori di animali, per cui è un indicatore per noi molto importante. Gli elementi, al di là del fatto cruento, sono però minimi.
Ha detto che c’è stato un “piacere” nel commettere atrocità del genere.
Una persona sadica, priva di empatia. Ho guardato il video e si vede il gattino che ha sofferto veramente le pene dell’inferno, che si lamentava e miagolava all’inverosimile. Per cui si presume che dall’altra parte ci sia un godimento, quindi un sadismo immane. Persone che non sottostanno alle regole
Una persona pericolosa.
Sicuramente una persona pericolosa in divenire, lo è già oggi. Perché quello che ha compiuto è un fatto nefando. Ha grosse possibilità di diventare in un futuro prossimo un violento, se non lo è già.
Come si riconoscono? Ci sono dei segnali?
Se parliamo di violenza in generale, sono sicuramente persone che manifestano delle caratteristiche ben precise. Sono persone che hanno difficoltà nell’integrazione, che paradossalmente possono avere un doppio profilo: o agiscono in solitaria o in gruppo (perché il gruppo dalla forza, è un po’ come nello stupro). Agiscono per la banalità del male, per crudeltà gratuita. L’uccisione di un gattino è fatta solo per mera crudeltà. Si vuole far soffrire l’altro e quella sofferenza porta poi godimento. È una persona sicuramente frustrata, probabilmente è anche dedita ad utilizzare sostanze stupefacenti. Non è però una persona che ha un lampeggiante, per cui potrebbe essere una persona che normalmente si vive una vita e poi ha questi momenti di crudeltà. Però, ripeto, lo ritroviamo in genere nelle nei gruppi giovanili: le classiche bande.
Un piacere nella crudeltà. Quindi li ha già compiuti?
Questo tipo di crudeltà mi fa venire in mente che probabilmente coloro o chi ha compiuto questo gesto non era sicuramente alla prima esperienza. Perché poi il gatto è l’animale per eccellenza indipendente, autonomo, che non ci lascia fare coccole. Quindi anche tenerlo si presume che ci sia una presa, che sia comunque una persona abituata a mantenere un’animale dome un’anguilla. Probabilmente chi lo ha fatto, lo ha fatto anche in precedenza. Ed è per questo che di fondamentale importanza trovare il responsabile o i responsabili.
Può compiere atrocità del genere nei confronti delle persone?
Il profilo di chi ha commesso questa nefandezza ritengo sia altamente pericoloso perché il passaggio dall’animale all’umano e molto facile. La distanza è flebile.
Nella lettura di letteratura clinica spesso magari si accosta a Chi compie crudeltà o servizi contro gli animali anche il profilo del serial killer.
Queste sono proiezioni future che è molto difficile fare, perché in questo momento noi non abbiamo un volto. Il profilo di un serial killer ci viene anche dalla sua storia personale. In questo caso noi non abbiamo nulla. Sicuramente troviamo una sociopatia nei serial killer e la possiamo ritrovare anche nell’uccisione di animali. Però mi dire che la persona o le persone che hanno commesso queste cose sono sociopatici, mi sembra di allargarmi troppo.
“È così pieno di meraviglie il mondo in cui viviamo. Dovremmo svegliarci al mattino e, indossando i pantaloni, ricordarci del cavalluccio marino, urlare di stupore e non smettere di urlare finché non ci addormentiamo, e lo stesso il giorno dopo, e quello dopo ancora. Un singolo cavalluccio marino conterrebbe abbastanza meraviglia da mettere al tappeto l’intera umanità, se solo l’umanità volesse farci caso”. È una rivoluzione dello sguardo, quella che ci richiede Katherine Rundell nel Catalogo degli animali inestimabili (edito da UTET con illustrazioni di Talya Baldwin e traduzione di Chiara Baffa).
Impariamo a guardare quanto ci circonda. Cerchiamo nella vita la bellezza. Che esiste, è lì, alla nostra portata, se, appunto, ce ne vogliamo accorgere, come l’autrice – docente di letteratura inglese a Oxford – dimostra ricostruendo tutte le sorprese che si trovano nel mondo animale. Il suo “bestiario” ci spiega da dove ha origine la “meraviglia”. Due sono le fonti: la prima è costituita da quanto sono e fanno gli organismi animali; la seconda da quello che gli esseri umani hanno immaginato intorno a loro. Sguardo scientificamente esatto e madornali errori, di cui si sono spesso appropriati letteratura e folklore, procedono a braccetto nel delineare la stratificazione del vivente. Sul piano delle fertili fantasie scatenate dal regno animale il “catalogo” di Rundell è una miniera di preziose e curiose sorprese. Scopriamo che i lemuri (l’etimo non lascia dubbi, sono i “fantasmi”) quando puntano addosso il loro lungo dito medio profetizzano la morte; che le foche, assumendo tratti umani, maschili o femminili, nelle saghe nordiche diventano i “mutaforma” più “elusivi ed arcani”, i cosiddetti “selkie”; che gli orsi nascono informi, come scrive Caio Plinio nelle Storie naturali, ed è la madre a dar loro il sembiante, leccandoli; che il corno dell’inesistente unicorno, compreso quello che lo zar Pietro il Grande volle avere con sé sul suo letto di morte, è la zanna del narvalo; che alle Hawaii si ritiene che il corvo conduca le anime dei morti nell’Aldilà; che le lepri, “pozioni d’amore viventi”, sono tra gli animali più ambivalenti: sacre ad Afrodite per via della loro eccezionale fertilità, considerate ermafrodite da Aristotele nell’Historia animalium, e poi espressione dell’amore omosessuale; ma, anche, in epoche successive, avvicinate alle streghe, preannuncio di calamità, figura della Trinità (il ricorrente motivo delle tre lepri con le orecchie intrecciate) e talvolta abbinate alla Vergine.
Se il lupo è il “simbolo su cui riversare le nostre paure e le nostra sfiducia nel mondo” (spesso nel passato il termine lupo indicava il cancro), del riccio si è a lungo pensato che raccogliesse frutti con i propri aculei e che il suo grasso, mescolato a quello di orso, fosse una cura per la calvizie. Mentre i cavallucci marini sono i destrieri di Poseidone, le cicogne sono i corrieri, la cui fama di portare i neonati a destinazione nasce o dalla mitologia slava, dove conducono le anime non nate da Vyraj, il paradiso primaverile, alla terra; o dalla mitologia classica, dove la regina dei Pigmei, Gerana, trasformata in una gru (non è una cicogna ma il mito è questo) dalla gelosa Era, salva il suo bambino portandolo nel becco. Tra le vittime predilette dei nostri fantasiosi errori ci sono soprattutto i ragni, a partire dall’idea della loro presunta letalità. Nel XVI e XVII secolo si pensava che il morso della Lycosa tarantula fosse curabile soltanto con una danza frenetica, per cui venivano preparati degli spartiti musicali curativi come l’Antidotum tarantulae di Athanasius Kircher. Un destino, quello della paura suscitata dalla loro presenza, che riguarda anche i pipistrelli, associati ad azioni oscure e al vampirismo (a loro preesistente) dopo la scoperta del pipistrello vampiro in Sudamerica nel XVI secolo; meno noto, forse, è che con insospettabile frequenza ricorrono come ingredienti nelle ricette per l’invisibilità.
Appare quasi scontata una prima conclusione. L’errore è segno di qualcosa di più, di un’appartenenza dell’uomo a un piano simbolico che nasceva dalla contiguità con gli altri animali. Una contiguità negata magari nel passato sul piano intellettuale (teologico-filosofico), ma continuamente vissuta nell’esperienza. Per cui, scrive Rundell, “i vecchi errori sono fantastici e fantasiosi, e rivelano le speranze e le ansie degli esseri umani”. Ma il punto è che gli errori continuiamo a commetterli, anche se facciamo più fatica ad ammetterlo, perché ci fidiamo della sensazione che oggi tutto sia filtrato da una razionalità diffusa. Tra quanto accadeva e quanto accade c’è però una differenza. L’errore del presente nasce dal vuoto, dall’indifferenza, dalla distanza tra uomo e animali. Ed è qui che si posiziona il libro di Rundell, nello spazio che ci divide dal vivente. Perché è in questa area desertificata – da cui abbiamo bandito “lo stupore, l’attenzione e l’amore” – che si insedia l’indifferente spirito distruttivo dell’uomo contemporaneo.
Ci siamo dimenticati quanta bellezza andiamo ogni giorno annientando con l’estinzione delle altre specie. Quello che può sembrare un leggero e dolcemente ironico transito attraverso le forme del vivente, diventa allora un discorso politico, nel senso più nobile del termine. Tra ecosistemi che annaspano e dolorose scomparse, Rundell sottolinea come ci sia ancora “molto da salvare”. Per riuscirci, “la paura e la rabbia possono galvanizzarci, ma da sole non sono sufficienti: dovrà essere la nostra amorevole attenzione a spingerci all’azione”. Il libro assume la forma del “corteggiamento”. Il lettore deve essere sedotto. E l’arma più affilata per riuscirci diventa proprio quella dell’avvicinare le altre creature “dicendo la verità”, andando cioè là dove la scienza e l’estetica ci conducono. Perché, come suggerisce Rundell, in fondo non c’è nulla di più meraviglioso che aprire gli occhi su quanto gli animali possono fare e soprattutto su quello che appaiono ai nostri occhi.
La vera fonte di sorprese è proprio la natura e gli esempi forniti da Rundell sono numerosi e davvero capaci di lasciarci incantati. Ne elenchiamo alcuni, in ordine sparso, partendo dal vombato, lo squalo della Groenlandia, che detiene il primato di longevità: qualche esemplare ha superato i 600 anni, diventando “la cosa più vicino all’eterno” che si conosca. Con la giraffa, “concettualmente disordinata” secondo il poeta latino Orazio, non abbiamo risolto l’enigma del collo lungo. A cosa serve? Non sembra, come riteneva Darwin, che dia vantaggi nell’approvvigionarsi di fogliame. Più probabile che entri in gioco il necking, la battaglia tra maschi per stabilire l’elemento dominante, che spesso è preludio dell’attività sessuale tra gli stessi contendenti, a testimonianza della prevalente omosessualità della specie. Ma il collo è anche all’origine di un’altra abitudine delle giraffe, quella di bere soltanto ogni tre o quattro giorni. Si tratta in effetti di un’operazione laboriosa, che, per evitare svenimenti nel momento in cui si piega la testa verso il basso, richiede la chiusura della vena giugulare. Tra le creature straordinarie, c’è il rondone, “perfetto per il cielo”: il suo corpo pesa meno di un uovo di gallina.
Tutta la sua vita avviene in volo: mangia, dorme e si accoppia senza mai scendere a terra. Mediamente i rondoni non si posano per dieci mesi, ma alcuni sono arrivati a non farlo per quattro anni. Sono gli uccelli più veloci nel volo orizzontale, il record è stato raggiunto con 111,6 chilometri orari. Chi invece vive entrando nelle “case disabitate” è il granchio eremita, che è solito trovare riparo nei gusci di conchiglia vuoti: dopo averli occupati, li mimetizza circondandoli di anemoni. C’è chi rivela qualità insospettate: alcune foche possiedono un’eccezionale facilità di apprendimento del linguaggio umano, e una delle loro specie, quella degli elefanti marini, ha la capacità di trattenere il respiro per due ore grazie agli alti livelli di mioglobina che consentono di immagazzinare l’ossigeno nei muscoli, permettendo loro di raggiungere i due chilometri di profondità nelle fredde acque oceaniche. Degli orsi sono infinite le meraviglie. L’orso bruno di Kodiak modifica radicalmente il proprio corpo nel corso della vita, passando dai 500 grammi alla nascita ai 680 chili da adulto. Gli orsi che vanno in letargo trascorrono più di cento giorni senza mangiare, bere e urinare. Nonostante sia uno dei nostri animali-guida (si pensi alla diffusione degli orsacchiotti di peluche), i rapporti tra uomo e orso non sono sempre estranei al rischio.
Ogni anno nel mondo si verificano quaranta attacchi di orso all’uomo, il 20% dei quali ha esiti mortali. Il narvalo è tra i mammiferi meno conosciuti. La sua zanna, che può raggiungere i 25 centimetri di larghezza alla base, contiene 10 milioni di terminazioni nervose. Il narvalo è solito strofinarla sulla zanna di un altro narvalo per trasmettergli informazioni sulla salinità dell’acqua (e quindi sulla probabilità di congelamento). Talvolta, però, la usa per stordire altri pesci o come mezzo di corteggiamento. Il suo problema, abitando nei mari più freddi, è mantenere il calore: da qui derivano il corpo slanciato e l’alta percentuale di grasso che lo caratterizza. I corvi, è noto, sono tra gli animali più intelligenti, capaci di serbare rancore e di essere spietati come nemici e straordinari come alleati. Alla ferocia – non esitano a beccare gli occhi degli agnelli appena nati – uniscono notevoli abilità artigianali, creando strumenti con i ramoscelli degli alberi. Il corpo del riccio è cosparso di 6000 aculei cavi, che spuntano subito dopo la nascita. I ricci sono utili per disinfestare, visto che si nutrono di insetti. Immuni al veleno della maggior parte dei serpenti, possono soffrire della curiosa “sindrome del palloncino”, quando una glottide in cima alla trachea si blocca ostruendo il passaggio dell’aria: il corpo si gonfia fino ad essere “più del doppio delle sue dimensioni abituali e deve essere bucato come un palloncino”.
La proboscide dell’elefante è la fusione del labbro superiore e del naso ed è un portentoso concentrato di recettori olfattivi, ben 2000 contro gli 800 dei segugi, che consentono di individuare la presenza dell’acqua a tre chilometri di distanza. Con la proboscide gli elefanti comunicano, ma prevalentemente si servono della laringe con cui trasmettono suoni a così bassa frequenza che noi non possiamo percepirli. Il cavalluccio marino appartiene all’unica specie in cui a partorire è il maschio: la femmina deposita le uova nella sua tasca addominale e, dopo una gestazione che va da due a sei settimane, il maschio erutta una fantasmagorica pioggia di minuscoli cavallucci. La procreazione per i cavallucci è così importante che li spinge a costituire coppie monogame e fedeli per avere il maggior numero possibile di gravidanze. L’accoppiamento prevede una specie di balletto, in cui producono un suono simile a uno schiocco (l’altro verso che hanno a disposizione è un minuscolo ringhio gutturale). Non avendo lo stomaco, devono mangiare continuamente, ma avendo mandibola e mascella unite, non potendo masticare, devono aspirare plancton e crostacei.
La strana postura “in piedi” del cavalluccio potrebbe essere la conseguenza di antichi spostamenti tettonici che hanno creato nelle acque delle praterie di alghe, da cui il cavalluccio si è districato mettendosi in posizione verticale. Il suo antenato, sul piano evolutivo, potrebbe essere stato il pesce pipa. Il pangolino è l’unico mammifero dotato di squame, con una lingua più lunga del corpo. Per evitare problemi la tiene arrotolata in una tasca situata vicino al fianco. Grazie a una cicogna che nel 1822 arrivò dall’Africa centrale in un villaggio tedesco con una lancia da 70 centimetri nel collo, si è chiarito il mistero della scomparsa degli uccelli in inverno, risolvendo dubbi millenari. Alla cicogna spetta anche un altro primato. L’aeronauta tedesco ottocentesco Otto Lilienthal si basò proprio sul suo corpo per progettare i primi modelli di aliante. I tanto temuti ragni – ma la causa dell’aracnofobia non è stata chiarita, forse ha a che fare con gli angoli retti delle zampe – realizzano qualcosa di unico con le ragnatele che, in alcuni casi, sono infinitamente più resistenti dei fili d’acciaio. Ma soprattutto i ragni servono.
A cosa? Ogni anno mangiano da 400 a 800 milioni di tonnellate di insetti ed altri parassiti. Di fatto si nutrono di chi mangerebbe il nostro cibo, evitando carestie e pestilenze. Che i pipistrelli si muovano al buio con l’udito e non con la vista, che pur possiedono, è stato scoperto da Lazzaro Spallanzani nel 1793; più recente è la scoperta che, se li sentissimo gridare, ne rimarremmo assordati. Grandi come grizzly, velocissimi – il loro nome significa “sfrecciare” – i tonni sono tra i pochi pesci a sangue caldo. Non dipendendo dalla temperatura del mare, vanno ovunque e mangiano di tutto, compreso il mercurio che non riescono a disperdere e li rende non del tutto idonei a finire nei nostri piatti. E poi c’è lei, la talpa dorata, l’unico tra i mammiferi che possiede l’iridescenza, anche se non la può vedere, perché, vivendo prevalentemente sottoterra, è cieca, con gli occhi coperti da uno strato di cute e pelliccia.
Per tutti gli animali nominati, Rundell sottolinea il pericolo a cui sono esposti. Non c’è una di queste specie che non stia rischiando di scomparire. Saranno la meraviglia e la bellezza a salvarle?
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Una delle foto di Leone condivise sui social dai veterinari
Ma come si fa? Come si può prendere un gattino e scuoiarlo vivo, per poi lasciarlo agonizzante in strada? Chi può partorire un’idea simile e, soprattutto, metterla in atto? La storia di Leone, il gatto morto a Cava dei Tirreni, in provincia di Salerno, a causa delle orrende ferite inferte da un “umano” al momento ignoto dopo quattro giorni di sofferenze , fa rabbrividire e allo stesso tempo accende un sentimento di rabbia e sconforto verso ciò che definiamo “umano”. Perché la vera umanità è quella che vediamo negli occhi tristi di Leone, il cui sguardo, nella foto scattata dai volontari, trasmette un immenso senso di gratitudine nei confronti di chi ha provato a salvargli la vita. Un’anima gentile che nonostante l’orrore subito è ancora in grado di comunicare amore a chi lo stava aiutando.
L’animale, in questo caso (e non soltanto in questo) non è quello steso in una gabbia, con il corpo ricoperto di garze, ma qualcun altro. Quella persona che, per un motivo che sfugge a qualsiasi meccanismo di una mente sana, ha deciso di catturare il piccolo Leone, un gattino randagio di una manciata di chilogrammi, e torturarlo senza pietà. Un gesto sadico e immotivato compiuto contro un essere indifeso e senza colpe. Un destino raccapricciante, da non augurare neanche al peggior nemico, neanche a chi questa violenza l’ha messa in pratica senza battere ciglio.
Al di là dell’empatia che si può avere nei confronti dei gatti, o degli gli animali in generale, siamo di fronte a un gesto criminale che non può e non deve restare impunito. Perché parliamoci chiaro, chi è stato in grado di ridurre Leone in quelle condizioni ha tutte le carte in regola per essere un soggetto pericoloso per la società. Un “mostro” e non mi vergogno a definirlo tale. I veterinari che hanno curato il gatto e le associazioni animaliste chiedono “giustizia”, ma non sarà certo facile rintracciare chi ha commesso un atto così orribile.
Un umano vigliacco, che sfoga le sue malate fantasie massacrando un animale indifeso, molto probabilmente non si costituirà di sua spontanea volontà. Adesso ancor di più, visto l’eco che ha avuto la storia di Leone. Una storia che, ancora una volta, ci mostra per come siamo, molto meno umani di quanto vorremmo far credere. Molto meno umani degli stessi animali, che invece sono sempre in grado di insegnarci qualcosa di importante e profondo, anche in situazioni come questa, dove l’unica cosa che emerge è l’orrore.
Lo dico per esperienza personale, con due anime pure “raccattate” per strada e salvate da morte certa, che adesso mi “concedono” l’onore di vivere sotto il loro stesso tetto e hanno riempito la mia vita di qualcosa di speciale, di cui prima ignoravo l’esistenza. Se incontrate un gatto o un cane, o un altro animale in difficoltà, non giratevi dall’altra parte, guardate per un secondo quegli occhi di una sincerità disarmante. Può sembrare complicato all’inizio, lo so, ma aiutare un essere vivente non potrà soltanto migliorare e allungare la sua vita, ma farà un bene enorme e incalcolabile anche alla vostra anima.
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